23 NOVEMBRE 1980 – 23 NOVEMBRE 2010: QUANTO SONO LUNGHI 90 SECONDI.
Le 19.34 del 23 novembre 1980. Novantatre secondi appena: un’eternità quando sono tanto devastanti da stroncare vite, stravolgere esistenze, radere al suolo cittadine e lasciare in eredità ad un’intera popolazione il trauma di un evento che si trascinerà ancora per molto, molto tempo. L’Italia intera si mobilitò compatta per soccorrere le zone colpite dal ‘Terremoto dell’Irpinia’. Lo Stato fece la sua parte ma non con la dovuta perizia, con una tempistica adeguata e con la doverosa scrupolosità; memorabile rimane lo sfogo del presidente Sandro Pertini per la lentezza dei soccorsi. Una denuncia sulla base della quale è nata, poi, la Protezione Civile, la struttura che grazie ad un più efficace coordinamento tra i vari corpi di soccorso e gli stessi volontari, oggi viene considerata nel mondo tra le più efficienti e preparate, al di là delle persone che le hanno guidate finora.
Bisognava far presto, e fare bene. Ma la ricostruzione è andata avanti a suon di sprechi, di opere incompiute e di fondi malamente conferiti. Fino ad oggi si è speso l’equivalente di 32 miliardi di euro: una cifra enorme che ha sì consentito di affrontare l’emergenza risanando le zone maggiormente colpite, ma ha anche arricchito speculatori locali, progettisti famelici, grandi gruppi finanziari, criminalità organizzata, aziende del Nord più o meno truffaldine. Gli imprenditori scesero in questo profondo Sud martoriato, presero i soldi in conto capitale e poi, molti, scapparono.
Anche la dirigenza politica, in molti casi, non fu pronta a reagire al dramma con il necessario rigore: insufficienti le risposte sotto il piano della programmazione urbanistica, del rilancio delle attività produttive, della necessità di ricucire gli strappi nel tessuto sociale. Fu invece encomiabile, al di là dei colori politici, l’opera di tutti gli amministratori locali che – colpiti direttamente dal sisma – si spesero come meglio poterono nei limiti del proprio ruolo.
In Basilicata, malgrado tutto, la ricostruzione funzionò meglio rispetto a quella della Campania. E quando faticosamente i lucani con le loro forze stavano riemergendo dal trauma – psicologico, fisico ed economico – provocato da quello sconvolgente sisma, ecco che dieci anni dopo, nel maggio del 1990, la regione fu investita da una nuova scossa di terremoto di quasi uguale intensità anche se di durata più corta. E poi ancora la terra ha tremato, il 9 settembre 1998, nella zona meridionale della regione.
Ma essere “terremotato” non è una colpa. Anche in Basilicata – al contrario di quanti pensano che tra Nord e Sud esistano profonde differenze – ci si è rimboccati le maniche come è stato fatto a suo tempo in Friuli e come hanno fatto gli abruzzesi in questi ultimi due anni. Anche i lucani sono stati capaci di riprendere il loro faticoso cammino, grazie ad un orgoglio e ad una forza radicati nella nostra antica cultura.
Ne è testimonianza la stessa nascita della Università, a riprova che la ricostruzione, la rinascita del territorio deve essere ed è sempre più innanzitutto un fatto culturale Ma qualcuno, all’interno del Governo Berlusconi, ha pensato bene di rallentare questo processo. Gli stanziamenti previsti per gli interventi di ricostruzione dopo il sisma del ’98, oltre 21 milioni di euro all’anno dal 2000 al 2019, sono stati interrotti: già dalla Finanziaria 2009 non ce n’è più traccia.
La Regione ha fatto e sta facendo molto per concludere il processo di ricostruzione: ma secondo gli ultimi dati, all’appello mancherebbero circa 600 milioni di euro. La situazione, a livello nazionale, impone sacrifici. lo Stato promise che la ricostruzione sarebbe avvenuta nel giro di 20 anni. Invece ci sono ancora interi nuclei familiari costretti a vivere in abitazioni provvisorie, ci sono ancora imprese che attendono i risarcimenti dovuti, ci sono beni culturali eternamente puntellati: tutti sono in attesa che lo Stato ottemperi alle tante promesse fatte ma solo in parte onorate. I lucani sono famosi per la loro pazienza e non per la loro rassegnazione. Ma di certo non bisogna tirare troppo la corda.
L’anniversario di oggi, a trent’anni da quel primo terribile terremoto, sarà vissuto ancor più tristemente: alla malinconia e all’amarezza, si aggiunge infatti lo sconforto della gente che ascolta molte parole ma vede pochi fatti. Quei fatali 90 secondi si protraggono e scuotono ancora le coscienze: perché sopra ogni cosa, è gravissimo che non si affronti la vera emergenza, ovvero l’assenza di una politica della prevenzione tesa ad anticipare le tragedie salvaguardando ambiente e popolazioni. Il controllo del territorio è un impegno costituzionale, la tutela dei cittadini un dovere morale.
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