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venerdì 9 novembre 2012

Salvaguardia delle coste dall’estrazione di idrocarburi in mare

Legambiente interviene alla Conferenza internazionale delle Regioni adriatiche e ioniche “Contro le trivelle fondamentale il protagonismo dei territori” 
“Cresce il protagonismo dei territori e delle istituzioni locali contro l’arrivo di nuove piattaforme petrolifere in mare. Dall’incontro odierno è emersa la necessità che il nostro Paese esca dal petrolio e dalle fonti fossili, come auspicato da tanti anni dalla nostra associazione, per arrivare a un sistema energetico basato su risparmio, efficienza e produzione di energia da fonti rinnovabili”. Così il vice presidente di Legambiente Stefano Ciafani, intervenuto oggi a Venezia alla Conferenza internazionale delle Regioni Adriatiche e Ioniche dal titolo Salvaguardia delle coste delle Regioni del Mare Mediterraneo dall’estrazione di idrocarburi in mare. 
Un appuntamento in cui è stato ribadito l’impegno a opporsi con ogni atto necessario alla ricerca e all’estrazione di idrocarburi liquidi nel mar Adriatico e più in generale nel Mediterraneo. Contrariamente a quanto previsto dalla Strategia energetica nazionale in discussione in queste settimane, che riapre con forza la strada alla ricerca e l’estrazione di idrocarburi in Italia, ponendo per il contributo dell’estrazione dal mare e da terra un obiettivo di crescita dal 7 al 14% del fabbisogno energetico. 
Una scelta assolutamente insensata, secondo Legambiente, anche perché le ultime stime del ministero dello Sviluppo economico stimano nei nostri fondali marini la presenza di 10,3 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe, che stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 7 settimane. Non solo: anche attingendo al petrolio presente nel sottosuolo, concentrato soprattutto in Basilicata, il totale delle riserve certe nel Paese verrebbe consumato in appena 13 mesi. Il settore, insomma, è destinato a esaurirsi in pochi anni. 
Ciò nonostante l’impegno a snellire le procedure e facilitare l’approvazione di nuovi permessi di ricerca o di coltivazione a partire dal mare italiano è già in campo, come dimostra la pericolosa falla aperta nella rete di protezione delle coste italiane dai rischi di incidente da estrazione petrolifera dall’articolo 35 del decreto Sviluppo (decreto legge n.83 del 22 giugno 2012). Un provvedimento che da una parte aumenta a 12 miglia la fascia di divieto ma solo per le nuove richieste di estrazione di petrolio in mare e dall’altra fa ripartire tutti i procedimenti autorizzatori per la prospezione, ricerca ed estrazione di petrolio che erano stati bloccati dal dlgs 128/2010, approvato dopo l’incidente alla piattaforma Deepwater Horizon nel golfo del Messico nell’aprile del 2010. 
Così il mare italiano potrebbe ritrovarsi con 70 nuove piattaforme di estrazione di petrolio, che si sommerebbero alle 9 già attive per un totale di 29.700 kmq di mare. 
Nel 2011 in Italia sono stati estratti 5,3 milioni di tonnellate di petrolio, di cui 640mila tonnellate dai fondali marini dalle nove piattaforme marine di estrazione petrolifera attive. L’Adriatico, in particolare quello centro meridionale, è tra i mari più a rischio. Attualmente, infatti, circa la metà del petrolio estratto proviene da qui e i permessi di ricerca già rilasciati sono 7 e si estendono su un area marina di circa 2.768 kmq. Nel prossimo futuro si aggiungeranno le 14 istanze di ricerca presentate, e in approvazione, dalle società petrolifere. Anche lo Ionio, protetto fino allo scorso anno da ogni attività petrolifera, è interessato oggi da 7 richieste per la ricerca di petrolio per un totale di 3942 kmq, dopo che il recepimento delle direttive europee sulla tutela penale dell’ambiente e sull’inquinamento delle navi a luglio 2011 ha riaperto alle trivelle l’area del Golfo di Taranto.

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