L'intervento del sindaco di Matera, Salvatore Adduce, alla cerimonia commemorativa dell' 11 settembre 2001 svoltasi stamane in piazza Vittorio Veneto.
Siamo qui per onorare le vittime dell’11 settembre 2001: 3.000 morti in un solo giorno: donne e uomini, tanti lavoratori americani e di 115 altri Paesi di ogni parte del mondo tra cui anche 149 italiani.
Siamo qui per esprimere al popolo americano la nostra solidarietà e la nostra vicinanza e la condivisione del grande dolore.
Siamo qui per condividere con i Vigili del Fuoco della nostra città il ricordo degli eroi dell’11 settembre: i Pompieri di New York che persero 343 uomini in uno slancio di generosità, senso del dovere, altruismo. E ricordare in questo modo la grande funzione del corpo dei VV FF e della protezione civile in ogni parte del mondo.
Ma siamo qui per ricordare le 23.211 vittime dell'effetto emulazione della violenza che ha provocato le stragi pianificate nei cinque continenti da jihadisti e qaedisti, a partire da quell’11 settembre.
E siamo qui per ricordare le decine di migliaia i soldati morti nelle guerre scatenate a partire da quell’attentato e le centinaia di migliaia di vittime civili.
Così come ci sentiamo vicini ai milioni di profughi iracheni, afghani e pakistani costretti a fuggire dalle loro case.
Ma siamo qui anche per ricordare la necessità di risposte razionali e intelligenti agli attacchi terroristici: la storia di questi dieci anni ci insegna che non è possibile sconfiggere il terrorismo attraverso guerre preventive. Che per costruire la pace bisogna preparare la pace. Che è necessario il dialogo e la coesione tra i popoli.
Che è indispensabile colmare i divari troppo grandi. Che ognuno di noi deve sentirsi parte di un mondo globale e promuovere la tolleranza e la pace.
L’attacco di Al qaeda era certamente finalizzato a provocare uno scontro tra civiltà.
L’11 settembre modifica il nostro rapporto con la globalizzazione, con le moderne tecnologie, con l’idea della sicurezza e della convivenza.
Modifica il nostro rapporto con il sentimento religioso. Ed apre un conflitto e interrogativi a cui non siamo ancora riusciti a dare risposte.
La domanda di libertà di popoli che fino a qualche giorno fa sembrava non riguardarci è divenuta via via incalzante. La risposta possibile risiede nella democrazia e nella promozione di politiche inclusive. Ogni Paese, ogni Stato, ogni città è chiamato a fare la sua parte facendosi guidare dai grandi valori della tolleranza, della coesistenza, della collaborazione, della pace, del rispetto dei diritti umani.
“Il fatto fondamentale fu capire da subito che non bisognava lasciarsi attirare in uno scontro tra civiltà. Bisognava anzi trovare la strada per arrivare ad una concezione comune della sicurezza dello sviluppo della pace e della giustizia tra le n azioni” . Sono le parole del Capo dello Stato Giorgio Napolitano pronunciate ieri e che riassumono molto efficacemente ciò che ancora oggi bisogna fare.
Gli effetti di quell’attentato costringono le economie più forti del mondo, quindi l’occidente, a mettersi alle spalle le illusioni dei decenni precedenti.
Oggi siamo chiamati a fronteggiare un attacco non meno pericoloso: la crisi che colpisce le grandi economie del pianeta sta provocando dolori e sofferenze che sembravano appartenere ad altre epoche della storia dell’umanità. Anche per questa nuova emergenza siamo chiamati a dare risposte razionali e positive.
Il terzo millennio sembrava aprire all’umanità un’epoca di grande crescita. Abbiamo dovuto verificare che così non è stato.
Oggi tocca a ciascuno di noi lavorare per uscire dalla crisi e ridare fiducia nel futuro ai nostri giorvani.