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mercoledì 12 ottobre 2011

Fenice/Inchiesta Procura, Bolognetti (RI): Il pensiero in questo momento va a tutti gli avvelenati, a coloro che hanno visto morire i loro cari a Tito piuttosto che nella Val Basento, nel Vulture così come nella valle dell’Agip



Leggo degli arresti domiciliari disposti dalla Procura della Repubblica di Potenza nei confronti dell’ex direttore dell’Arpa Basilicata Vincenzo Sigillito e del funzionario della stessa agenzia Bruno Bove. Leggo del coinvolgimento nell’inchiesta di alcuni dirigenti della EDF e di un ex assessore regionale all’ambiente. Per chi non lo avesse capito il tutto è collegato al “Caso Fenice”. Le ipotesi di reato sono gravissime e tra queste quella di disastro ambientale e omissione di atti d’ufficio. Quanto emerge in queste ore è scritto a chiare lettere negli esposti consegnati dal sottoscritto alla procura della Repubblica di Potenza nel settembre 2009 e nel luglio 2011. Nel ricordare a me stesso la lunga iniziativa che ha visto impegnati i radicali negli ultimi 3 anni e che si è tradotta anche nella presentazione di 9 interrogazioni parlamentari, voglio ribadire che le responsabilità di questa “Seveso lucana” non possono essere circoscritte alla sola Arpab. Chi oggi siede sul banco degli imputati è stato solo un esecutore materiale di ordini. 
Non gioisco per gli arresti di oggi e torno a chiedermi perché il sostituto procuratore Arminio non ebbe a sequestrare l’inceneritore nel 2009. Torno a chiedermi se il mancato sequestro fu atto responsabile. Torno a chiedermi perché nessun sindaco abbia voluto servirsi dell’art. 54 del D.LGS 267/2000. In nome di non so quali interessi si è consentito alla Edf di avvelenare le falde acquifere per quasi 10 anni. La vicenda Fenice racconta di un sistema perverso, nel quale è quasi impossibile distinguere tra controllore e controllato; racconta di una realtà in cui la strage di legalità si fa in strage di popoli. Il pensiero in questo momento va a tutti gli avvelenati, a coloro che hanno visto morire i loro cari a Tito piuttosto che nella Val Basento, nel Vulture così come nella valle dell’Agip. Vite spezzate dall’assenza di legalità e Stato di diritto, in un paese dove la democrazia reale ha sostituito la democrazia e dove ogni santo giorno viene negato il sacrosanto diritto a poter conoscere per deliberare. Vite spezzate in una regione dove i dati ambientali diventano “cosa loro”. Abbiamo parlato di veleni industriali e politici, di peste italiana e caso Basilicata; abbiamo descritto un contesto, e anche nell’ora che, si spera, porterà all’accertamento della verità tutta, non vogliamo dimenticare questa chiave di lettura. Capire il contesto in cui è maturato il caso Fenice è importante, e non vorremmo che il tutto si riducesse ad una guerra tra bande: bande partitocratiche. Questo paese in materia di tutela ambientale, e quindi di tutela della salute umana, è uno Stato canaglia pluricondannato dall’Unione Europea. Direttive comunitarie e leggi dello stato in questi anni sono diventate carta straccia, tant’è che la Fenice opera da anni senza Autorizzazione integrata ambientale. La silenziosa “Seveso lucana”, sviluppatasi nell’arco di un decennio, ci parla anche di questo e di un magistrato “responsabile” che non ha voluto fermarla in quel marzo-aprile del 2009.  Non gioisco per gli arresti di oggi, ma mi auguro che questo possa essere un primo passo verso l’accertamento della verità. 

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