Veleni in Italia: si pensa ad un “condono”
anche per loro
Troppi i siti contaminati da idrocarburi e metalli pesanti, ma il Ministro dell’Ambiente valuta un accordo che diminuirebbe le possibilità di bonifica.
Si sente spesso
parlare di condoni
edilizi,
ossia di strumenti attraverso i quali il Governo sana fenomeni di
abusivismo,
coinvolgendo costruzioni ex novo, così come l'ampliamento o la
modifica di edifici già esistenti.
Il procedimento,
ovviamente, differisce per estensione e indulgenza a seconda del
momento di utilizzo, e si risolve tramite il pagamento di una certa
somma
di denaro.
Solitamente gli
ambientalisti
si
oppongono a questo tipo di strumento, che porta ad assolvere parte
del tessuto urbano del Belpaese, costruito nel mancato rispetto delle
normative vigenti e in pericoloso
contrasto
con le vocazioni
territoriali.
Le ultime notizie
però, portano l’attenzione su un nuovo intervento
sanatorio,
a cui lo stesso Ministro dell’Ambiente Stefania
Prestigiacomo
sembra
interessato:
“un
maxi accordo tra il colosso petrolifero ENI e il Governo italiano,
che andrebbe a risolvere tutti i doveri e le cause di inquinamento
che ancora pendono sulla testa del cane a sei zampe”.
Presupposto di partenza:
in Italia ci sono
aree che necessitano urgentemente di bonifiche
ambientali.
Tra
le più pericolose, la recente giurisprudenza ne ha evidenziate nove,
gestite negli anni da ENI o da società controllate dall’impresa,
come Enipower, Polimeri Europa e Syndial.
Per
alcune di queste zone il colosso petrolifero potrebbe essere
condannato
a pagare ingenti quote volte alla messa in sicurezza dei siti e alla
loro riqualificazione.
Emblematico, a questo proposito, il caso di Pieve
Vergonte, risolto in primo grado dal Tribunale di Torino con una
condanna nei confronti di Eni per inquinamnento da Ddt.
Se tutto procedesse
in maniera lineare, il tempo passerebbe e i soldi pattuiti nelle
condanne verrebbero dedicati a bonificare
il suolo.
Peccato
che qui si parli di Italia, e di Eni.
Tra il dire e il
fare, dunque, si è velocemente posto un mega
contratto:
da più di un anno il Ministero dell’Ambiente e la società
energetica trattano le condizioni di un accordo colossale, in grado
di cancellare tutti i contenziosi civili che gravano sulle spalle del
colosso petrolifero in cambio di un versamento di circa 2,3
miliardi di euro destinati
alle bonifiche
dei
territori contaminati.
Stima in grado
sicuramente di far girare la testa ai più, ma che può fare ben poco
di fronte alle estese operazioni
di pulizia e
messa in sicurezza dovute a quei territori avvelenati da idrocarburi
e
metalli
pesanti.
Per fare tutto ciò, stimano gli esperti, saranno
necessari molti miliardi in più, almeno tre volte la cifra prevista
dal protocollo d'intesa.
Un
recente approfondimento di l’Espresso su “l’affare bonifiche”
evidenzia l’inadeguatezza
della
cifra: solo per il risanamento
da
Ddt
dell’area
Pieve Vergonte, in Piemonte, Eni è stata condannata a sborsare 1,8
miliardi di euro “per
disastro ambientale e inquinamento”.
Cosa
potrebbe fare, quindi, il Ministero
dell’Ambiente,
o chi per esso, con 2,3 miliardi in totale, da distribuire nelle
attività di bonifica tra Priolo, Brindisi, Pieve Vergonte, Napoli
orientale, Cengio, Crotone, Mantova, Porto Torres e Gela?
Gli ambientalisti
temono che, a conti fatti, Eni si troverebbe “ripulito”
da pendenze con Regioni e Comuni accumulate negli anni, mentre il
suolo
del
Belpaese rischierebbe seriamente di rimanere avvelenato
fino
a data da destinarsi.
Non
vanno infine sottovalutate le tempistiche:
l’Eni
viene condannata dal Tribunale di Torino nel 2008, momento in cui la
società energetica si mette al lavoro, decisa a trovare una
soluzione
meno
dispendiosa.
Stesso
anno, e il Governo elabora un nuovo strumento legislativo, volto a
favorire accordi
volontari tra
le parti coinvolte in contenziosi legali (Ddl 208/2008, meglio
conosciuto come “Decreto salva – Eni”).
È
proprio grazie a questo provvedimento che l'amministratore delegato
di Eni spa, Paolo Scaroni, ha potuto contrattare le condizioni di
“buona uscita” della società, arrivando così a formulare un
protocollo
d’intesa rivolto
al Ministero dell’Ambiente, ente che ora è nelle condizioni di
accettare l’offerta da 2,3 miliardi, o, al contrario, negare al
colosso
petrolifero
questa
possibilità, costringendolo così ad affrontare, caso per caso, le
nove urgenze di bonifica ambientale
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