Dopo il saluto del presidente dell’Unitep Matera, Antonio Pellecchia, del presidente del Consiglio provinciale Aldo Chietera e dell’assessore comunale alle politiche sociali Simonetta Guarini, il moderatore Francesco Niglio ha affidato a due docenti dell’Unitep, Angelo Salfi e Raffaele Motola il compito di rievocare i fatti storici legati alla giornata della Memoria mentre il docente e attore Lello Chiacchio ha sottolineato il valore della Memoria e del Ricordo dell’olocausto attraverso la lettura di testi e poesie dedicate alla Shoah. Chiacchio ha scelto per questo incontro “Gli ebrei venivano sterminati a centinaia”, un brano tratto da “L’olocausto” di Gerald Green, le poesie “La tregua” di Primo Levi, Scarpette rosse di Joyce Lussu, Prima di tutto vennero a prendere gli zingari di Bertolt Brecht, Scarpette infantili di Kurt Steininger, Non verremo alla metà ad uno ad uno di Paul Eluard e la “lettura della pace”.
Angelo Salfi ha approfondito dal punto di vista storico il genocidio del popolo ebreo sottolineando non solo le responsabilità del regime nazista ma anche quelle del popolo italiano, che smentiscono la tesi secondo cui il nostro Paese era stato di fatto estraneo alla persecuzione e allo sterminio. “Ancora oggi – ha dichiarato Salfi – non tutti sanno che in Italia c’erano 200 campi di concentramento e alcuni autori parlano di altre 200 colonie penali in cui certamente non si andava in vacanza, come ha sostenuto di recente un capo del governo italiano. Salfi ha inoltre rimarcato l’influenza della religione cattolica nei confronti della Shoah. “Non vogliamo produrre in questa sede una ricognizione particolareggiata sull’influenza della cultura italiana nell’approccio alla problematica della Shoah, tuttavia non si può tacere un certo imbarazzo da parte cattolica nell’affrontare la questione delle leggi razziali in Italia e risulta difficile ignorare l’inestricabile intreccio tra la tradizione di un antisemitismo cattolico e il dibattito, tuttora controverso, sull’atteggiamento di Pio XII nei confronti dello stermino nazista degli ebrei. Oggi in realtà le cose stanno cambiando, come dimostrano le dichiarazioni di un insigne storico cattolico, Renato Moro, pronto ad abbandonare le prudenze e le reticenze per ammettere che “da tutti gli studi degli ultimi trent’anni emerge con chiarezza che l’antisemitismo cattolico rappresentò in Italia, negli anni immediatamente precedenti la rivoluzione francese e fino agli anni del razzismo fascista, una realtà corposa, radicata e diffusa. E’ stato così evidenziato che un tasso di mentalità antiebraica era naturalmente connaturato alla mentalità cattolica intransigente e alle sue tensioni antimoderne”. Attraverso la sua relazione Salfi ha quindi cercato di rimuovere quei luoghi comuni sui cui poggia una diffusa sottovalutazione della legislazione razzista promulgata dal fascismo che non ha avuto evidentemente un’applicazione blanda o superficiale. La delazione, gli arresti, le deportazioni, la spoliazione dei beni degli ebrei hanno giovano a tanti funzionari più o meno corrotti del regime fascista che si è affermato in Italia. Un caso emblematico è quello del vice questore Giovanni Palatucci, funzionario della Questura di Fiume che fu arrestato e deportato a Dachau perché sorpreso ad aiutare alcuni ebrei. Pur apprezzando l’opera meritoria di Palatucci è curioso come un autore che si identificò con il nome di Laurus Robuffo, probabilmente uno pseudonimo e comunque un personaggio sconosciuto alla storiografia, si affrettò a pubblicare un volume dal titolo “Giovanni Palatucci, il poliziotto che salvò migliaia di ebrei”. Un’esagerazione smentita dal volume “Giovanni Palatucci, una giusta memoria”, in cui l’autore Marco Coslovich evidenzia che l’immagine manipolata e mitizzata di Palatucci non c’entra nulla con il commissario. La rincorsa a sostenere la sua azione come degna di un eroe risponde in realtà ad un maldestro tentativo di salvataggio generalizzato nei confronti della Polizia di Stato in toto, dell’intero operato della Chiesa, dello stereotipo “italiani brava gente”.
Diverso il taglio adottato dal docente Raffaele Motola per celebrare il giorno della Memoria nel corso dell’incontro culturale promosso dall’Unitep Matera. Motola ha preferito abbandonare il percorso classico di rievocazione dei fatti storici che hanno segnato la Shoah per approfondire alcune figure che hanno lasciato il segno attraverso le vicende personali legate allo sterminio collettivo degli ebrei e le testimonianze che raccontano quanto è accaduto durante i campi di concentramento. “In proposito Motola ha ricordato i campi di concentramento di Auschwitz, Birkenau, Belzec, Treblinka, Sobibor in cui i prigionieri venivano uccisi nelle camere a gas, spesso mascherate da docce e i loro corpi bruciati nei forni crematori. Probabilmente non tutti sanno che i campi di concentramento sono stati allestiti anche Italia: se ne contano circa quattrocento, in tutte le regioni”. Oltre a quelli di San Sabba, in provincia di Trieste e Fossoli, una frazione di Carpi, in provincia di Modena, Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza, il docente Motola ha ricordato che un campo di concentramento fu istituito anche a Pisticci, in contrata Caporotondo e ospitò dal 1937 condannati dal Tribunale Speciale come oppositori politici, pregiudicati, allogeni slavi, polacchi, ufficiali greci. “Nei campi di concentramento – ha precisato Motola – la condizione di vita dei prigionieri era abbastanza dignitosa, diversa da quella dei campi nazisti, perché non vigeva il terrore dello sterminio sistematico. Lo sterminio degli ebrei fu combattuto da una serie di gruppi di persone che si opposero a questa aberrante follia e che furono identificati con l’appellativo di “Giusti tra le Nazioni su iniziativa dello Yad Vashem, il museo dell’Olocausto in Gerusalemme”. Oggi comprende una lista di oltre 23 mila persone e l’Italia è al decimo posto in questa speciale classifica che racchiude pastori protestanti, funzionari dello Stato, impiegati comunali, carabinieri, membri della Resistenza, partigiani e uomini legati alla Chiesa. Tra i medici Motola ha approfondito l’impegno sociale e politico profuso da Carlo Angela, padre di Piero e nonno di Alberto Angela, questi ultimi apprezzati conduttori di programmi di divulgazione scientifica in onda sulla Rai.
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