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martedì 13 novembre 2012

Alla luce della condanna comminata dalla Cedu alla Bulgaria, gioverà ripetere che “senza democrazia non ci sono elezioni, ma solo violente finzioni contro i diritti civili e umani”.

Di Maurizio Bolognetti(al 20esimo giorno di sciopero della fame a sostegno dell’iniziativa nonviolenta di Rita Bernardini e Irene Testa per ribadire la necessità di un provvedimento di amnistia per porre subito fine all’illegalità in cui versa la giustizia italiana e la sua appendice carceraria).

Da oltre 50 giorni un deputato radicale, Maurizio Turco, è in sciopero della fame. L’on. Turco si batte - e con lui altri deputati e militanti radicali - per sottolineare la rottamazione dello Stato di diritto nel nostro paese, per affermare il rispetto dello Stato di diritto, della legalità costituzionale e per richiamare il nostro Stato al rispetto della sua propria legalità. Questo avviene in un contesto rappresentato da un “sessantennio” che abbiamo raccontato e denunciato in un dossier rimasto clandestino: “La peste italiana”. In un dibattito politico, o per meglio dire partitocratico, sempre più asfittico e bizantino, l’iniziativa di Maurizio Turco non fa notizia. Non c’è spazio per chi chiede che i cittadini di questo paese, e magari lo stesso Supremo Garante del dettato costituzionale, vengano informati “sul precetto del Consiglio d'Europa, secondo il quale al fine di consolidare la democrazia non si cambiano le leggi elettorali a meno di un anno dalle elezioni”. Zero dibattito sulla richiesta di calendarizzare e votare la legge applicativa per la democrazia interna ai partiti. Silenzio tombale sulla richiesta di revisione di procedimenti elettorali di “stampo criminogeno”. Due anni fa, in occasione delle elezioni regionali, denunciavamo le “elezioni vietate” e affermavamo che “senza democrazia non vi sono elezioni, ma solo violente finzioni contro i diritti civili e umani”. Il silenzio di oggi sul’iniziativa nonviolenta di Maurizio Turco è lo stesso che inghiottì la denuncia fatta nel 2010 sulla manipolazione delle leggi elettorali a campagna in corso, allorquando scrivevamo: “Come già accaduto alle elezioni politiche del 2006(legge N° 270 del 21 dicembre 2005, voto il 9 e 10 aprile 2006) ed alle Europee del 2009(legge 20 febbraio 2009, n°10, voto 6 e 7 giugno 2009), anche questa tornata elettorale sarà caratterizzata dal cambiamento delle leggi elettorali a campagna praticamente già avviata e comunque a meno di un anno dal voto, termine minimo indicato dal Consiglio d’Europa per evitare di considerare il diritto elettorale uno strumento che chi ha il potere manipola a suo favore a danno della sovranità popolare”. In quel documento sottolineavamo che in vista delle regionali 2010 ben sei leggi elettorali erano state cambiate a ridosso del voto, con la Basilicata che riuscì nell’autentico capolavoro di cambiare la legge a gennaio, per poi essere costretta a fare dietrofront il 4 febbraio a causa di un rilievo di incostituzionalità evidenziato in una interrogazione a prima firma Rita Bernardini. Due anni dopo, a testimonianza di quanto questo paese sia sempre più una “democrazia reale”, è addirittura il Presidente Giorgio Napolitano che a reti unificate invoca il cambiamento della legge elettorale a ridosso del voto.
Trattasi di quello stesso Presidente che ha ritenuto di non dover accogliere l’invito rivoltogli da oltre 120 docenti universitari a rivolgere un messaggio alle Camere per informare le stesse della flagranza di reato in cui versa il nostro Stato sulla questione giustizia. Potrebbe apparire un paradosso, ma forse la spiegazione va cercata altrove.
Fatto sta che l’on. Turco, testardamente arroccato sulle sue ragioni, che sono le nostre, oltre ad informarci quotidianamente di un dibattito sulla modifica della legge elettorale che ha del surreale, ci segnala che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo - la stessa che ci commina condanne per la irragionevole durata dei processi – ha condannato la Bulgaria proprio per aver modificato la legge elettorale a meno di un anno dal voto. Verrebbe da chiedersi anche alla luce di questa condanna e delle nostre reiterate denunce: se “bulgaro” è diventato sinonimo di antidemocrazia, che significato dovrebbe assumere la parola “italiano”? Nel 2009, a pochi giorni dal voto, la stragrande maggioranza dei cittadini italiani nemmeno sapeva della presenza della Lista Bonino-Pannella. Il 15 maggio, Marco Pannella, nell’annunciare l’inizio di uno sciopero assoluto della fame e della sete nel quadro del Satyagraha per la libertà la giustizia e la pace, indirizzava una lettera aperta al Presidente della Repubblica, nella quale tra l’altro scriveva: “Nella presente legislatura, come Lei ben sa, la partitocrazia ha operato in modo tale da impedire all’attuale Parlamento dei nominati l’esercizio delle sue proprie funzioni costituzionalmente rilevanti di Indirizzo e di Controllo; e poter così del tutto sopprimere perfino il diritto tradizionale alle Tribune politiche e agli “accessi” dei soggetti politici e sociali. Finora questo era diritto democratico di tutti i cittadini italiani e non mero privilegio corporativo di settori e organismi di Regime, volto al compimento di quanto previsto, tra l’altro, dall’art. 49 della Costituzione. È questa, e non altra, la realtà politica italiana quale ci appare: antidemocratica e opposta a un qualsiasi Stato di Diritto. Non meno, anche se diversamente, che a Tripoli, a Mosca, a Pechino, sempre più capitali di riferimento di questo nostro Paese”. Nel sessantennio partitocratico di metamorfosi del male questo tesoro di lotta, di dialogo, di proposta e di iniziativa politica semplicemente non esiste. Il dibattito, se così vogliamo chiamarlo, lo si fa sui “costi della politica”, ma certo non sui “costi dell’antidemocrazia” e non sulla “strage di legalità che si fa strage di popoli”. Verrebbe da dire che se il tempio della democrazia continuerà ad essere occupato da scribi e farisei, ancora una volta non ci saranno elezioni ma solo una bulgara partita truccata, in cui l’arbitro gira la testa per non vedere o peggio è parte del trucco. Chissà perché in queste ore è di conforto poter leggere Ernesto Rossi, che nel 1930 dal carcere di Bergamo scriveva: “Ho sempre seguito la strada che mi indicava la mia coscienza, e veramente non ho nulla da rimproverarmi. Per questo, nonostante le giornate mi sembrino lunghe e le notti senza fine, sono in completa armonia con me stesso: è questo l’essenziale”.

P.S.
A questo punto, alla luce di quanto abbiamo documentato e denunciato, attendiamo l’inevitabile condanna che dovrà essere comminata al nostro Paese.

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