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giovedì 29 marzo 2012

Oil for Food


Di Maurizio Bolognetti, Direzione Radicali Italiani e Segretario di Radicali Lucani

Di tanto in tanto nella Basilicata Saudita emergono tracce degli effetti collaterali prodotti dalle attività estrattive. E così scopri che un piccolo paradiso, una contrada di Corleto Perticara, ormai feudo della Total, è stata trasformata in un inferno. All’inizio degli anni ’90, i fanghi del pozzo “Tempa Rossa2”, duemila metri cubi di veleni contenenti un micidiale cocktail di idrocarburi e metalli pesanti, vengono stoccati in un campo ubicato in contrada Serra d’Eboli. La discarica con il suo carico di morte viene poi ricoperta con un metro di terreno e riconsegnata agli ignari pastori. Non una recinzione, non un cartello che avvertisse del pericolo. Il frutto di un atto tanto scellerato quanto criminale non tarda a manifestarsi: almeno due morti sospette e pecore stecchite nel ruminare erba e idrocarburi. Con ogni probabilità quei veleni sono finiti anche nella catena alimentare. Per la Procura di Potenza che indaga sulla vicenda, le ipotesi di reato sono omicidio plurimo colposo e attentato alla salute pubblica.
Pecore morte stecchite come i pesci del Pertusillo, sorgenti inquinate e siti contaminati. Il bilancio delle attività di esplorazione e coltivazione di idrocarburi in Basilicata è un bilancio pesante in termini di impatto ambientale e di impatto sulla salute umana.
Quando scorro l’elenco degli incidenti collegati all’estrazione dell’oro nero, l’impressionante numero di siti inquinati nella sola Valle dell’Agip, mi chiedo se per caso i quattro gatti delle valli lucane non siano diventati il costo che qualcuno è disposto a pagare sull’altare del superiore interesse nazionale.
Il decreto Ronchi nel 1997 aveva previsto l’istituzione di un’anagrafe dei siti da bonificare; quindici anni dopo negli uffici del Dipartimento ambiente della Regione Basilicata ne troviamo solo parziale traccia.
Ma torniamo a Corleto Perticara e alla Lucania che nessuno ha visto nel “Basilicata coast to coast” generosamente finanziato dai francesi di Total.
Nel piccolo centro dell’alta valle del Sauro sorgerà il centro oli della Total. Parliamo del progetto Tempa Rossa, che per la banca d’affari Goldman Sachs è uno dei 128 progetti “più importanti al mondo in fase di attuazione o ancora sulla carta, capaci di cambiare gli scenari mondiali dell’energia estrattiva”. A partire dal 2015 Total pomperà dal sottosuolo lucano 50000 barili di greggio al giorno, che andranno ad aggiungersi agli 84000 barili dei giacimenti Eni-Shell. Per 25 anni la Total ricaverà da “Tempa Rossa” 144 milioni di euro all’anno.
Un bilancio, quello dei barili estratti, suscettibile di ulteriori incrementi, visto che da tempo si discute di un aumento delle attività estrattive dell’Eni nella Val d’Agri e che si moltiplicano i permessi di ricerca avanzati dalle principali compagnie petrolifere. La Basilicata, dati Unmig alla mano, rischia di diventare un unico campo per la coltivazione dell’oro nero.
Per far comprendere le dimensioni della partita che si sta giocando sul territorio lucano è forse opportuno fornire qualche dato. Gli atlanti e i libri di geografia riportano che la Basilicata copre una superficie pari al 3,3 per cento di territorio nazionale(9992 kmq); il 65% circa di questa superficie(6260 kmq) è stata ipotecata da titoli minerari attivi e istanze per il conferimento di nuovi titoli. Le 22 concessioni di coltivazione vigenti coprono 2121 kmq di territorio, mentre i 12 permessi di ricerca autorizzati una superficie pari a 1590 kmq. Tra le 15 nuove istanze di ricerca va registrata quella avanzata dall’Eni denominata “Monte Li Foi”, che interessa un’area di 140 kmq compresa nei comuni di Baragiano, Ruoti, Picerno, Tito, Savoia di Lucania, Pignola e Potenza.
Siamo di fronte ad un assalto all’arma bianca, con attività estrattive svolte in aree dove si registra un forte dissesto idrogeologico(con areali classificati R4), a rischio sismico, a ridosso di zone SIC(Sito di interesse comunitario) e dove sono presenti aree sottoposte a vincolo idrogeologico. Si trivella in prossimità di dighe, sorgenti, campi coltivati e centri abitati.
A ratificare tutto questo, ad aprire un autostrada a 4 corsie, sono intervenuti il Memorandum, firmato tra la Regione e il Governo, e il successivo - e verrebbe da dire famigerato - articolo 16 del decreto sulle liberalizzazioni.
A leggere con attenzione il Memorandum, sottoscritto a Potenza il 29 aprile 2011, possiamo scorgere le tracce della Basilicata del futuro: “Per l’accelerazione dello sviluppo regionale attraverso politiche aggiuntive di sviluppo industriale generatore di occupazione, di incremento della dotazione infrastrutturale, di investimenti in ricerca e innovazione connesse alla ricerca e alla coltivazione delle fonti fossili in Basilicata.”
Ma l’intenzione di completare la trasformazione della Basilicata in Hub petrolifero emerge solare in ciò che è scritto nel preambolo: “Nella Regione sussistono inoltre potenzialità ulteriori di sviluppo e di stoccaggio che potranno essere ulteriormente valorizzate.”
La verità è che non si fermeranno né a 130000 barili, né a 160.000, e tutto questo mentre in Veneto si votano delibere regionali per dire no alle trivelle temendo il rischio subsidenza.
Avete presente il programma “Oil for Food” varato dall’Onu nel 1996? Prevedeva di permettere all'Iraq di vendere petrolio in cambio di forniture umanitarie, cibo e medicinali.
Ecco, l’impressione è che la Basilicata sia diventata una sorta di Iraq. Il Petrolio merce di scambio per garantire la sopravvivenza di una realtà che avverte i morsi di una gravissima crisi socio-economica. Verrebbe da chiedersi: ma la sopravvivenza di cosa? Quante sono le opportunità bruciate dal sistema partitocratico in questi anni?
Non ci sto, questo baratto non mi convince e ribadisco che occorre una moratoria. Occorre dire subito, ora, che non ci saranno altri permessi e concessioni.
A gennaio, nella relazione che accompagnava il decreto sulle liberalizzazioni il Governo scriveva: “La Regione Basilicata, i suoi residenti ed i comuni interessati dalle attività, già oggi percepiscono complessivamente circa 160 milioni di euro l’anno di royalties, destinati ad aumentare a circa 350 milioni, in funzione del prezzo del greggio, in conseguenza dei lavori già programmati. Attraverso ulteriori ricerche sono altamente probabili altre scoperte dello stesso ordine di grandezza. Tale sviluppo risulta rallentato o impedito dalle difficoltà derivanti dall’insediamento degli impianti di estrazione di idrocarburi, spesso in competizione con altre attività di sfruttamento del territorio, generalmente di minore valore economico ma fortemente radicate e che generano occupazione. Garantendo ai residenti dei territori di insediamento degli impianti e delle aree limitrofe, oltre alle ingenti entrate già oggi assicurate dalle royalties, investimenti infrastrutturali ed occupazionali attraverso una quota delle maggiori entrate derivanti dalle nuove produzioni di idrocarburi, si assicurano maggiori entrate primarie e fiscali e si assicura crescita e nuova occupazione.”
E l’ambiente? E la tutela dei territori? E l’Impronta ecologica? Di quali difficoltà parla il Governo, se già oggi, dati alla mano, dati Unmig, abbiamo 22 concessioni di coltivazione e una serie di permessi concessi e in itinere?
Verrebbe da rispondere: “scusateci se ci permettiamo di dare un valore al nostro paesaggio, alle preziose risorse idriche, all’acqua, alle coltivazioni, all’aria e a qualche attività di “minor valore”. E se proprio non volete scusarci, beh, allora possiamo prendere in considerazione la possibilità di una emigrazione forzata da una terra che - nonostante l’oro nero - è il fanalino di coda del paese.”
Penso alla mia terra e mi vengono in mente le immagini di un film crudo come quello diretto da Paul Anderson: Il Petroliere.
Penso alle morti “silenziose” di Corleto Perticara e ancora una volta, una volta di più, mi dico che ha ragione Marco Pannella quando afferma che “la strage di legalità ha sempre per corollario, nella storia, la strage di popoli”; vale per le vicende di veleni che ho provato a raccontare e vale per le morti “silenziose” che registriamo tra detenuti e agenti di Polizia Penitenziaria nelle patrie galere.
Leggo il libro di Mario Almerighi “Petrolio e Politica” e mi dico che siamo ben poca cosa di fronte al mare di petrodollari che passano sulle nostre teste.
Credo che al Presidente della Giunta regionale Vito De Filippo vada dato atto di una posizione chiara. E’ l’unico che non si nasconde e di cui fino in fondo conosciamo le posizioni. Mi auguro e gli auguro di saper difendere per davvero gli interessi degli abitanti della Basilicata Saudita. Per il resto ribadisco la richiesta e la proposta di una immediata moratoria che fermi ogni ulteriore concessione. Al tavolo delle trattative dobbiamo portare questo. Il resto, quanto statuito dall’art. 16 e dal Memorandum, è atto dovuto per i costi altissimi che stiamo sopportando.    

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