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martedì 27 marzo 2012

De Filippo ritiri i permessi di ricerca ed estrazione dal bacino idrico del Sinni e dalle sorgenti del fiume Agri


[di Ola e NoScorie Trisaia]


L’articolo 16 del decreto sulle liberalizzazioni
liberalizzerà risorse che torneranno utili agli stessi petrolieri, perché i due comma che lo compongono prevedono fondi da utilizzare “negli impianti produttivi e dei territori limitrofi”. Cioè, necessari alle attività minerarie stesse. Secondo la Ola (Organizzazione lucana ambientalista) e NoScorie Trisaia, il famigerato ed atteso articolo 16 nasconde all’Italia 50 anni di verità (in Basilicata si estrae petrolio dai tempi di Enrico Mattei), toglierà ai sindaci la gestione periferica delle royalties, non consentirà più un minimo di conti sui ritorni economici per il territorio dato che spariranno le royalties in cambio di infrastrutture da realizzare attorno agli impianti produttivi petroliferi, e potrebbe essere alla base di una denuncia alla Corte di Giustizia Europea per i Diritti dell’Uomo e del suo Ambiente perché in contrasto con l’articolo 117 della Costituzione italiana.

Dopo 50 anni di promesse mancate e di un progressivo impoverimento della società lucana e della sua economia, la politica regionale non trova di meglio che rinverdire promesse di progresso collettivo legato ancora ai già fallimentari ricavati delle attività minerarie e in spregio alla tutela delle acque, dell’ambiente e della salute dei lucani. I nuovi permessi di ricerca stringono di assedio anche il bacino idrico del Sinni con la diga di Monte Cotugno, mentre – fuori dagli accordi del 1998 e in un reticolo idrico che caratterizza le sorgenti del fiume Agri – si vuole dare il definitivo colpo di grazia al bacino del fiume Agri perforando tutto intorno alle sue sorgenti, nei monti di Marsico e Tramutola, per estrarre 26 mila barili di petrolio al giorno. Con lo scopo di portare il centro oli di Viggiano a realizzare una sesta e nuova linea di lavoro per raffinare circa 130 mila barili al giorno rispetto agli attuali 91 mila lavorati e a una sua capacità di raffinazione che in questi 15 anni ha dimostrato di non essere superiore ai 104 mila barili al giorno.
L’articolo 16, così tanto invocato dal governatore Vito De Filippo, non spiega ai cittadini come il territorio verrà ripagato di tale effrazioni, ma nemmeno come queste tutele dell’ambiente verranno applicate in una regione che è un unico bacino idrico di superficie e di profondità. L’articolo 16 rimanda a decreti attuativi di là da scrivere per sapere come il governo intenda concretamente tutelare la salute, l’ambiente, l’acqua, gli ecosistemi terrestri ed acquatici della Basilicata, promettendo un generico ricorso ai “più avanzati standard internazionali di qualità e sicurezza con l’impiego delle migliori tecnologie disponibili”. Promesse eteree e generiche più o meno equivalenti alle perline luccicanti che Cristoforo Colombo portava in dono agli indigeni di San Salvador. Perline e specchietti che i sindaci iniziano a rifiutare, come hanno fatto i 18 sindaci dei 18 comuni del Vallo di Diano, più la Provincia di Salerno, che hanno detto tutti no alla concessione “Monte Cavallo” della Shell. Monte Cavallo coinvolgerà i bacini idrici della Maddalena che sorgono alle spalle di quelli del fiume Agri, dal versante occidentale dei monti di Marsico e Tramutola. E come stanno facendo 15 sindaci lucani che hanno detto no ai permessi di ricerca che potranno diventare concessioni di coltivazione di “Tempa la Petrosa”, “Monte Li Foi” e “La Cerasa”, in un crescendo di prese di coscienze nuove nei confronti di uno sfruttamento del territorio che sta ammazzando il bene primario di questa terra: l’agricoltura.
La Ola e NoScorie Trisaia, oltre a fornire supporto tecnico ai sindaci per redigere le opposizioni e presentare le osservazioni, informano il governatore Vito De Filippo che invieranno documenti e cartografie alla Commissione Europea per i Diritti dell’Uomo e del suo Ambiente.




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