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martedì 31 gennaio 2012

“Drest” di Saverio Manzi in uscita presso la Casa Editrice Neftasia - Dall'amore per il cinema ad un libro per il grande schermo


La forza di questo lavoro è l’idea originale: nel cinema degli anni ’30, quando domina il bianco e nero, un attore di pelle leggermente scura diventa un divo facendosi passare per bianco. Ma quando è il momento di fare un film a colori, partono i sospetti, volti a screditare il divo; sospetti mossi da una rabbia innata, che rigetta il fatto che l’oggetto dei sogni di tutta una nazione sia un uomo di pelle nera.
Tutto questo dà origine a varie sottotrame che dipingono un affresco di tutto l’ambiente hollywoodiano del primo sonoro e del suo modo di pensare, inquadrando soprattutto la questione degli attori neri, artisti che, indipendentemente dalla loro bravura, nel cinema venivano relegati a parti di personaggi ottusi e buffi, spesso oggetto di comica umiliazione.
Il testo viene sviluppato secondo una struttura scorrevole, ed è composto da brevi capitoli che entrano pian piano nella storia e nel vero e proprio mistero attorno all’attore su cui tutto è incentrato.

                               Sinossi
A Hollywood negli anni ’30 la gente vive di cinema e di divi. Un attore soprattutto, di nome Danny Drest, molto riservato nella vita privata, incanta per intensità e bellezza. Quando l’invenzione del colore viene consolidata tutti si aspettano che questo divo giri a colori, ma tra lo stupore generale il nuovo film con Drest esce ancora in bianco e nero. Un uomo indaga e scopre che in realtà Drest non gira a colori perché è di pelle leggermente nera, e farsi passare per bianco, in un cinema che relega gli attori neri a parti di sfondo spesso ridicolizzanti, è stato l’unico modo per poter ottenere ruoli esclusivamente in funzione del suo talento. La nazione tutta è sgomenta da questa rivelazione; l’uomo più bello e desiderato, la più grande star, è un nero, un (secondo la concezione dell’epoca) animale. A questo punto Drest sparisce nel nulla, ma nuovi sviluppi lo riporteranno alla ribalta, e saprà dare una lezione di umanità a tutti.

……………, all’epoca del cinema muto, Daniel Crociescu, un bambino di New York, la sfangò e non so come riuscì, con l’aiuto della madre, a farsi cambiare legalmente il lugubre nome slavo che da sei anni si portava appresso. A casa sua tutti lo conoscevano come Crociescu, ma chi se ne importa, lui e la madre volevano cambiare reputazione, vita e ambiente, volevano cambiare tutto. Daniel voleva affinare il cognome in Cross, o Crocy, ma purtroppo non fu possibile. Non trovando di meglio, ripescò fra gli antenati della madre il cognome, polacco, ma buono e diffuso, Demski.
Una volta arrivato a Hollywood, nella prima metà degli anni trenta, Daniel Demski si dovette adattare ad attività umili. I corsi e i provini erano una cosa ultima ed estrema per lui, un faticoso coprifuoco da effettuare di nascosto e a tarda sera, come una rituale ed ultima attività prima di immergersi nel consueto sonno notturno. Il cinema sonoro era una macchina appena avviata che inconsapevolmente aveva raggiunto ritmi e dimensioni vertiginose, e l’aveva fatto nemmeno accorgendosi di essere grande, maestosa ed estenuante, e in mezzo ad esso il povero, umanissimo ristoro dalle fatiche, sempre bastonato e ridotto ………….

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