Mentre prosegue la lotta per ottenere che il nostro Stato interrompa la flagranza di reato in atto contro i diritti umani e la Costituzione, domani, grazie al vice presidente del Consiglio regionale Nicola Benedetto, torneremo a visitare la comunità penitenziaria materana. Le carceri del nostro bel paese sono assurte, per dirla con Marco Pannella, a luoghi di tortura senza torturatori. Nel solo 2012, nelle nostre patrie galere si sono suicidati 59 detenuti e 9 agenti di Polizia penitenziaria. Ma il carcere rappresenta il percolato di un’amministrazione della giustizia alla bancarotta, che non dà garanzie a vittime e imputati. Nelle lettera appello promossa dal Partito Radicale, che oltre 120 docenti universitari ebbero ad inviare a quel Presidente Napolitano che ha troppo in fretta rimosso “la prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”, si ricordava che “la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo vede l’Italia reiteratamente condannata per le sistematiche violazioni dell’art. 6 CEDU, sotto il profilo della durata non ragionevole dei suoi processi” e che “analogamente, sono già più d’una le condanne dell’Italia per l’accertata violazione dell’art. 3 CEDU, sotto il profilo delle condizioni inumane e degradanti cui sono stati costretti in carcere alcuni detenuti”.
Noi continuiamo a ripetere che l’Amnistia, nella situazione di sfascio che abbiamo sotto gli occhi, è un provvedimento di riforma in grado di rimettere su un binario di legalità l’amministrazione della giustizia e il suo percolato carcerario. E diciamo “Amnistia per la Repubblica”, perché il nostro Stato non rispetta la sua propria legalità, arrivando ad essere rispetto al diritto, ai diritti, alla Costituzione e alle Convezioni internazionali un delinquente professionale. Oggi in Italia un’Amnistia c’è già ed è quella clandestina e di classe che ogni anno manda al macero circa 200.000 procedimenti. Un provvedimento di amnistia costituzionale, a ben vedere, è allo stato dell’arte l’unica soluzione praticabile per garantire una giustizia dai tempi certi, per tutelare davvero le vittime, per aiutare i magistrati a svolgere il loro lavoro. Un provvedimento di amnistia interverrebbe su alcuni reati non violenti e potrebbe prevedere una forma di “risarcimento” per le vittime. Un provvedimento di Amnistia e indulto, considerando l’enorme mole di procedimenti che intasa i nostri tribunali, producendo quella non ragionevole durata dei processi che garantisce prescrizioni e spesso, troppo spesso, anni di carcerazione preventiva a imputati che saranno dichiarati innocenti, è la via maestra per garantire che la nostra macchina giudiziaria torni a funzionare e per riconsegnare le nostre patrie galere alla civiltà e al diritto, ad iniziare dal rispetto dell’art. 27 del dettato costituzionale.
Domani con il Consigliere Benedetto, che ha rappresentato la Regione Basilicata alla “II marcia per l’Amnistia, la giustizia e la libertà”, visiteremo la comunità penitenziaria di Matera. Nel farlo gioverà ricordare una volta di più il “j’accuse” dei direttori del Sidipe, che mesi fa affermavano: “siamo stati in verità ricacciati negli angoli più bui di uno Stato che non sembra in grado di mantenere fede agli impegni ed alle promesse solenni celebrate nelle sue leggi”. E gioverà altresì ricordare quanto ha in più occasioni affermato Monsignor Agostino Superbo: “La Chiesa sente che l'impegno per l'amnistia, la giustizia, la liberta' rappresenta un fatto che va nella direzione di una possibile e necessaria riconciliazione”.
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