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mercoledì 29 maggio 2013

La nudità di un re che non è più celabile oltremodo

A voler commentare il recente voto amministrativo, ancorché abbia interessato solo 11 comuni lucani, è facile notare che alla sostanziale, e forse inaspettata a tanti, tenuta del PD sia corrisposta la frenata e caduta del voto sia verso la “minaccia” grillina, sia verso la Lega, in un test però molto più indicativo di un’astensione dal voto divenuta ormai enorme, circa il 50%, e che a conti fatti mentre delinea realtà e tendenze nelle quali con poco più del 25% dei voti esprimibili si governano città (franco ballottaggi) o regioni, dovrebbe far porre domande sostanziali sul ruolo che la politica ha ormai nella percezione dei troppi cittadini che se ne allontanano, troppi per poter ancora essere ignorati o bollati come fenomeno sociologico di post-modernità comune a molte democrazie occidentali. Un elettorato che ha evidentemente perso ogni residua fiducia nel sistema politico, arrivando così alla diserzione persino dalle elezioni a maggior prossimità alla propria vita quotidiana, in un dato che letto anche alla stregua della considerazione che neppure Grillo ormai riesce a captare, dopo l’avventura di un rifiuto alla collaborazione ad un governo Bersani immotivabile persino alla categoria del “cambiamo il paese” e le poco dignitose discussioni sulle diarie che hanno consegnati alla categoria politica degli inutili – anzi pare che l’aumento degli astenuti corrisponda proprio al clamoroso collasso dei grillini – di fatto apre un baratro rappresentativo che non pare colmato o colmabile né nell’auto-referenza, né nel continuo richiamo a savonaroliane “grida”. Così se i ballottaggi consegneranno un’Italia dei comuni a targa amministrativa pd o centrosinistra, c’è da chiedersi se in realtà i votanti abbiano votato PD o non piuttosto i singoli candidati, le loro storie ed esperienze, dando un’ovvia prevalenza ad una scelta della persona in un contesto istituzionale sentito forse come meno politico e più di progetto locale, piuttosto che ad un partito nazionale che - fondi a freddo, fondi a freddo - ancora non è arrivato ad un nocciolo distintivo della propria personalità o di un progetto che faccia la differenza e che in ogni caso ha molto poco da stare allegro anche dopo questo voto che consente di respirare dopo lunga apnea grazie ai singoli candidati, ma non fa riemergere dal fondo dell’assenza di un programma che a partire dal disagio elabori soluzioni sugli assetti istituzionali e politici, così come economici e sociali di un paese in profonda crisi che necessita di speranza, non di ragionieri o pifferai magici. Così a citare S. Agostino “La speranza ha due bei figli: la rabbia e il coraggio. La rabbia nel vedere come vanno le cose e il coraggio di intravedere come potrebbero andare”, se non possiamo vedere in rabbia e urla (almeno in quelle che postulano una lucidità oggettiva sulla realtà stessa e non melodie irose) alcun percorso al cambiamento reale, è dalla categoria del coraggio che dovremmo leggere una capacità progettuale di volere e potere cambiare la nostra società. Un coraggio che necessita così di pensiero lungo, di una visione, di un percorso fattuale e pratico nel faro di una idea di come, quando e con quali attori sociali posti a motori la società dovrà evolversi per evitare l’isolamento nel quale si consumano i drammi e le sofferenze sociali fatte di quei tanti drammi e sofferenze personali alle quali, prima che alle teorie sulla crescita come panacea, occorre trovare le risposte, e qui è fatale l’errore di auto-referenza che si innesca nel pensiero, invero a tratti assai corto, dei maggiorenti del centrosinistra alle prese con la crisi della politica nella società, pensare che il voto ad un candidato sindaco sia il voto ad un progetto, ed innescandosi così ancora quel rappresentare poco la generalità dei cittadini e troppo la propria parte, in una spirale ventennale che ha spaccato un paese nel totem del pro/contro piuttosto di puntare su coesione, condivisione, partecipazione e senso di un destino collettivo in cui ha ragione il destino personale di ciascuno e del quale proprio coesione, condivisione e partecipazione sono il dna. Appare allora evidente la “stupidità” dell’auto-incoronamento di Marcello Pittella a prossimo presidente della regione nella subordinata retorica della candidatura di Speranza, come appreso dai giornali, in un ragionamento in cui è ancora il PD e le sue logiche interne di potere, e non un progetto, ad essere posto a dominus del futuro di una regione, non vedendo o fingendo di non vedere che il cambiamento è ormai necessario e che a poco servirebbero prove di forza suggerite dalle tendenze del voto. Sono proprio le logiche che portano il consigliere assessore ad “incoronarsi senza l’oste” a voler allora bloccare la regione con esarcati e logiche dei clan politici, piuttosto che collaborare onestamente ad un progetto globale di rinascita della nostra terra. Pittella rappresenta forse il nuovo o forse il progetto? O non piuttosto l’autoreferenza di un baronato di stampo feudale che suppone il mondo terminare fuori dai suoi confini? Questa regione, come dico da tempo, ha bisogno di un progetto e di facce nuove che lo rappresentino che non sono nelle fattezze di Pittella – nulla di personale, sia chiaro! – od in quelle di qualche altro “barone ambizioso che aspira al trono”, in ciò equivalendosi tragicamente le sue esternazioni con quelle di alcuni capetti grillini che non tengono conto della realtà, prospettando assenza di dialogo con alcuno, quindi ancora auto-referenza, in nome di qualche liturgica verità spacciata a nuovo che s’avanza e che tutto farebbe tremare, simile in tutto a verità reali d’altro stampo, il tramandarsi cioè di poteri che hanno condannato una regione alla sintesi coloniale tra poche idee e ben confuse recitate a copione di un dramma storico di fedeltà ad imperatori lontani e servi vicini e la cui trama è il velo tragico e sprecone a cui si è avvolta la nudità di un re che non è più celabile oltremodo. Il prossimo presidente della regione non può essere espressione del PD e delle logiche di spartizione, ma colui che mette sulle proprie gambe un progetto comune per salvare questa terra dall’oblio.

Miko Somma, segretario regionale di Comunità Lucana

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