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giovedì 6 settembre 2012

Inadeguato il decreto su Taranto? Certo, nella misura in cui questo Paese è inadeguato a rispettare lo Stato di diritto, la legalità costituzionale e le direttive comunitarie in materia ambientale.

Di Maurizio Bolognetti, Direzione Radicali Italiani. 

Ha ragione Elisabetta Zamparutti a definire il decreto governativo sull’emergenza ambientale tarantina assolutamente inadeguato. Un’inadeguatezza che parte da lontano. La perimetrazione del Sito di interesse nazionale di Taranto(SIN) risale al gennaio 2000, da allora come in molti altri casi riguardati i 57 SIN individuati dal Ministero dell’Ambiente è mancato sia l’interesse che la bonifica. Un interesse riaccesosi in queste settimane solo a seguito delle note vicende che hanno portato all’arresto dei vertici dell’Ilva e al sequestro dell’area a caldo della più grande acciaieria d’Europa. Sono, o per meglio dire sarebbero, 115.000 gli ettari interessati da attività di bonifica: 83000 di questi di superficie marina. Già, il mare di Taranto e in particolare il Mar Piccolo, dove un tempo venivano allevate le famose e pregiate cozze. Quelle cozze dopo le solite manfrine, circa un anno fa, sono risultate contaminate da PCB. La sigla PCB sta per policlorobifenili, un simpatico composto chimico estremamente nocivo per l’uomo, che su riviste specializzate viene così descritto: “I PCB sono considerati, per la loro tossicità, nei confronti dell’uomo e dell’ambiente, tra gli inquinanti più pericolosi poiché la loro grande stabilità ai diversi attacchi chimici li rende difficilmente degradabili acuendo l’effetto di bioaccumulazione negli organismi viventi”. L’Agenzia Internazionale per le Ricerche sul Cancro(IARC) di Lione ha classificato i PCB come probabili agenti cancerogeni per l’uomo. Capito? Bioaccumulazione, la stessa che è stata registrata nelle carni delle pecore poi abbattute. I poveri animali mangiavano diossina. Questo per non dire della diossina riscontrata nel latte materno e di una notiziola apparsa nel luglio del 2010 che informava della presenza di metalli pesanti nel fegato e nei polmoni dei bovini allevati nell’area di Taranto. Il dato venne fuori in seguito a una ricerca condotta dal Dipartimento di Veterinaria dell’Università di Bari su 183 capi di bestiame.
Non per fare allarmismo, ma è davvero terrorizzante, alla luce dei tanti “sintomi” che pure nel corso degli anni sono emersi, pensare ai polmoni dei tarantini e a una città invasa e circondata, verrebbe da dire fagocitata dalla sua zona industriale. Si potrebbe poi parlare a proposito di “sintomi” dello studio SENTIERI(studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio inquinamento) pubblicato circa un anno fa sulla rivista “Epidemiologia e Prevenzione”. Ebbene, i ricercatori che hanno redatto lo studio parlano di un “eccesso tra il 10% e il 15% della mortalità generale per tutti i tumori in entrambi i generi”, di “un eccesso di circa il 30% nella mortalità per tumore al polmone”, di “eccesso compreso tra il 40%(donne) e il 50%(uomini) di decessi per malattie respiratorie acute”. Nello stessa studio si riferisce di una indagine condotta su 355 lavoratori della cokeria delle acciaierie Ilva dal quale emergono “livelli urinari di 1-idrossipirene(biomarcatore della dose interna di Idrocarburi policiclici aromatici), significativamente più elevati nel gruppo di lavoratori addetti alla manutenzione”. Veleni, un impressionante cocktail di veleni, che da anni viene respirato, entra nel ciclo alimentare, contamina tutte le matrici ambientali. Chissà, forse sarà per questo che Vendola voleva costruire a Taranto una succursale del San Raffaele. Che diamine, dopo i proclami stentorei di lotta all’inquinamento stile “spezzeremo le reni alla Grecia” - rimasti proclami e mai concretamente realizzati - un ospedale avrebbe potuto dare un qualche conforto a quelli che si definiscono avvelenati di Stato.
Anche nel caso di Taranto è di certo interessante leggere la lunga teoria di verbali delle conferenze di servizio decisorie, susseguitesi in questi anni e che nulla o quasi hanno deciso.
Per esempio, se per una qualche fortunata circostanza vi capitasse tra le mani il verbale datato 15 marzo 2011 potreste leggere in relazione alle acque superficiali dell’area Ilva i seguenti dati: su 244 prelievi effettuati nei 250 piezometri, in 216 casi si è registrato il superamento delle CSC(Concentrazioni soglia di contaminazione). Nel dettaglio: in 73 casi si è verificato il superamento di un parametro, in 60 casi il superamento di due parametri e in 83 casi il superamento di 3 o più parametri. Non è che vada meglio sul fronte delle acque profonde, visto che su 144 prelievi si è registrato il superamento di un parametro in 38 casi, il superamento di due parametri in 28 campioni e il superamento di 3 o più parametri in 22 campioni. Di quali inquinanti parliamo? Presto detto: Arsenico, Cianuri, Benzopirene, Cromo esavalente, Cobalto, Mercurio, Piombo, Tricloroetilene, Benzene, Toluene, Cloruro di vinile, Nichel, ecc. ecc. Sia chiaro, noi altri il problema dei limiti e della CSR(concentrazione soglia di rischio) non ce lo poniamo. Questi sono i marchingegni di leggi che sono state studiate a misura di inquinatore più che a tutela della popolazione.
L’unica certezza è che dopo 50 anni di bombardamenti, a cui non sono estranei l’Eni e la Cementir, Taranto ha fatto il pieno di veleni e di certo la poetica vendoliana non è servita a migliorare la situazione, anzi. Nei giardini del quartiere Tamburi non si gioca; nel raggio di 20 km dalla zona industriale non si pascola; nel mar Piccolo niente cozze. Inadeguato il decreto? Certo, nella misura in cui questo Paese è inadeguato a rispettare lo Stato di diritto, la legalità costituzionale e le direttive comunitarie in materia ambientale. Chissà perché viene in mente il punto sei della “Dichiarazione di Stoccolma(1972)”: “Gli scarichi di sostanze tossiche o di altre sostanze in quantità e in concentrazioni di cui la natura non possa neutralizzare gli effetti, devono essere arrestati per evitare che gli ecosistemi ne ritraggano danni gravi o irreparabili”.

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