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mercoledì 13 gennaio 2010

17 GENNAIO. SI RINNOVANO NEL MATERANO I FUOCHI DI S. ANTONIO

di Giuseppe Coniglio

Una ricorrenza popolare, che, tra il sacro ed il profano, coinvolge giovani ed adulti e che si rinnova, unica ed originale, da tempi antichissimi. Le comunità del Materano sono ancora oggi particolarmente devote al culto di S. Antonio Abate venerato in piccole cappelle in cui i fedeli si raccolgono ogni anno, il 17 gennaio, per pregare e rinnovare un profondo e sentito atto di fede. E’ un culto semplice e dal sapore genuino che si collega alle radici della società contadina, che dagli animali traeva non solo nutrimento ma anche il necessario sostegno per i faticosi lavori dei campi. S. Antonio Abate è per questo il protettore degli animali domestici ma è anche il vincitore del fuoco dell'inferno, tanto da essere pure considerato patrono dei fornai e boscaioli ed in genere di tutti gli artigiani che hanno a che fare con i fuoco. Molti antichi e suggestivi rituali sono purtroppo oggi scomparsi, riproposti comunque dalla tradizione folklorica, ma rimane salda la fede nel Santo, come pure è immutato il suggestivo rito del grande falò, sul quale i giovani saltano, per poi recuperare, e distribuire nelle case, le sacre ceneri. A Matera la festa si celebrava davanti alla chiesetta di via dei Fiorentini, mentre a Grottole c’era l’usanza di accompagnare vicino alla chiesa di S. Pietro una scrofa con i porcellini e la comunità era obbligata a nutrire a sue spese il primo che arrivava. Offrendo il cibo, ogni fedele aspirava ad ottenere la particolare benedizione del Santo. Alla fine, ormai ben ingrassato, il maiale veniva “sacrificato” ed il ricavato andava alla Chiesa. A Tricarico, invece, i giovani si mascheravano da vacche e tori recandosi alla Chiesa di S. Maria dell’Olivo per la benedizione. A Pisticci, la ricorrenza è invece diventata l’occasione per benedire ed esporre in mostra gli animali domestici. La sagra del 17 gennaio segna anche l’entrata del Carnevale -un tempo impersonato da un fantoccio che veniva bruciato sul falò- ma per i contadini era l’inizio di una nuova annata, da propiziare con il rito dei sacri fuochi. Patriarca del monachesimo, uomo di preghiera e guaritore, S. Antonio era nato nel 251 d. C. in un villaggio del medio Egitto, sulle rive del Nilo, da nobile famiglia cristiana. Si racconta che volle subito mettere in atto, dopo avendo ascoltato in Chiesa, il brano evangelico "Se volete essere perfetti, vendete tutto e seguitemi". E cosi, quando non aveva ancora vent’anni, donò i suoi beni ai poveri per ritirarsi nel deserto, seguito da molti amici. Due volte si recò ad Alessandria d’Egitto per dare conforto ai cristiani perseguitati da Massimino e, poco prima di abbandonare la vita terrena, raccomandò ai suoi fratelli di vivere come se dovessero morire in quello stesso giorno. In Oriente ed Occidente, si diffuse rapidamente il suo culto, probabilmente per la fama di guaritore della peste, malattie della pelle e dell’herpes zoster o “Fuoco di S. Antonio”. Nel 1050, le sue reliquie furono trasferite a Viennois, in Francia, meta di tantissimi pellegrini, per accogliere i quali fu costruito un grandissimo ostello. Per il forte legame con il mondo contadino, l’iconografia cristiana ne ha fatto un simbolo rurale, rappresentandolo con un porcellino accanto ed in mano un bastone alla cui estremità è legato un campanellino. Per distinguerlo da S. Antonio da Padova gli fu aggiunto il titolo di Abate.

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