Potenza, 26 gennaio 2013 Signor Presidente della Corte d’Appello, Signor Procuratore generale,
un anno fa da questa tribuna ho provato a descrivere la situazione di assoluta illegalità in cui versa il nostro Stato e a dire perché è necessario, indispensabile, non più procrastinabile un provvedimento di Amnistia. Ahimè, un anno dopo nulla è cambiato rispetto a quanto da tempo andiamo denunciando in relazione allo stato comatoso in cui versa l’amministrazione della giustizia e il suo putrido percolato rappresentato da carceri indegne di un paese civile, di certo indegne del paese che diede i natali a Cesare Beccaria e assurte a luogo di tortura senza torturatori, perché ad essere torturata è l’intera comunità penitenziaria ad iniziare dai detenuti e dagli agenti di Polizia penitenziaria. E non a caso, nelle scorse ore, Marco Pannella, che lungi dal rassegnarsi di fronte allo status quo continua a rilanciare e a battersi, ha dichiarato: “proporremo le carceri italiane per il Nobel per la nonviolenza e la pace e contemporaneamente denunceremo – perché sia sospesa o espulsa dall’Unione Europea – l’infame partitocrazia Italiana” E’ un fatto, Signor Presidente della Corte d’Appello, Signor Procuratore Generale, che un anno dopo ci ritroviamo a dover constatare che persiste, e se possibile si è ulteriormente aggravata, la situazione di “flagranza di reato contro i diritti umani e la Costituzione” nella quale versa il nostro Paese.
Il nostro Stato è sul piano tecnico giuridico un delinquente abituale, anzi professionale.
Da 30 anni veniamo puntualmente condannati per la non ragionevole durata dei processi e quindi per la patente violazione della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, che pure il nostro Paese ha ratificato e si è impegnato a rispettare.
E solo pochi giorni fa, la Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo ci ha condannato per l’ennesima volta, ricordandoci e ricordando alle tante “anime belle”, che non fanno mai seguire alle parole i fatti, che il sovraffollamento delle nostre patrie galere va a sostanziarsi in una costante violazione dell’art. 3 della Convenzione sui diritti dell’uomo, che notoriamente proibisce la tortura e i trattamenti inumani e degradanti.
La Corte Europea, è bene sottolinearlo, non si è limitata a comminare 7 condanne su altrettanti ricorsi presentanti. No, è andata ben oltre, certificando la natura strutturale e sistemica del sovraffollamento delle nostre galere e le centinaia di denunce pendenti.
Eppure, chi oggi dice “me l’aspettavo”- come ha fatto il Ministro Severino - solo pochi mesi fa, uscendo da una delle più famigerate galere italiane, il carcere di Poggioreale, dichiarava senza temere il ridicolo: “pensavo peggio”.
Beh, certo al peggio non c’è mai fine quando in un paese la parola democrazia perde ogni significato, la Costituzione scritta viene vilipesa e calpestata e sostituita dalla Costituzione materiale del si fa così, e dove - per usare un eufemismo - c’è un deficit di Stato di diritto.
La verità esplode, Signor Presidente nelle ripetute sentenze della Corte di Giustizia europea, ma viene puntualmente silenziata.
C’è in questo nostro Paese, Signor Presidente della Corte d’Appello, un ormai insanabile debito di giustizia, una bancarotta della giustizia che non garantisce niente e nessuno. Nessuna garanzia per le vittime, nessuna garanzia per gli imputati.
Questo debito, questa enorme questione sociale che coinvolge milioni di persone, di vite, che distrugge vite, nega aspettative di giustizia, commina gratuiti anticipi di pena, richiede una terapia d’urto e questa terapia è rappresentata da un provvedimento di Amnistia e indulto, che nella situazione data, così come è andata incancrenendosi nel corso dei lustri che sono stati scanditi dagli avvisi e dalle denunce di Marco Pannella e dei Radicali, è un indispensabile e propedeutico provvedimento di riforma ed è Amnistia per uno Stato criminale incapace di rispettare la sua propria legalità; Amnistia per la Repubblica, appunto.
I numeri di questo disastro a forza di ripeterli - e magari di emettere silenzio quando li ripetiamo - sono noti, li snoccioliamo da anni, avvertendo nel contempo che inevitabilmente la strage di legalità si fa strage di popoli:
- Oltre 10 milioni di processi pendenti tra civile e penale che affollano i nostri tribunali
- Dieci anni di attesa per una sentenza definitiva
- Circa due milioni di procedimenti prescritti in dieci anni, che rappresentano l’amnistia strisciante che già c’è è che è amnistia clandestina e quasi sempre di classe.
- 67000 detenuti a fronte di 45000 posti disponibili
- Il 40 per cento circa di coloro che soggiornano nelle patrie galere costituito da cittadini in attesa di giudizio e un 50% di questi, lo sappiamo, alla fine sarà dichiarato innocente.
- Centinaia di suicidi tra i detenuti negli ultimi 20 anni e decine di suicidi di agenti di Polizia penitenziaria
- Centinaia di condanne della Corte europea dei diritti dell’Uomo comminate all’Italia
- Il riflesso che questo stato di cose ha sull’economia del Paese e che si traduce in mancata crescita, mancata ricchezza. Questo ovviamente in relazione alla situazione della giustizia civile.
No, il messaggio alle Camere da parte del Presidente Giorgio Napolitano, che era obbligo anch’esso, l’obbligo da parte del garante, che non è arbitro, di informare il Parlamento della flagranza di reato non c’è stato.
Amnistia non come mero atto di clemenza, ma provvedimento strutturale, l’unico in grado di rimettere immediatamente su un binario di legalità l’amministrazione della giustizia e le carceri di questo Paese.
Amnistia - lo abbiamo scritto e lo ripetiamo - provvedimento necessario per ristabilire la legalità dello Stato, liberare le scrivanie dei magistrati, rendere di nuovo agibili i tribunali, risarcire le vittime, evitando la vergogna delle prescrizioni,per far ripartire l’economia, liberare e liberarci da una gestione criminale della cosa pubblica.
E’ trascorso un anno, e in quest’anno c’è stato chi come Marco Pannella ha deciso di rischiare la vita contro la morte dello Stato di diritto, dando corpo alla sete di giustizia, legalità, verità.
Da un lato, signor Presidente della Corte d’Appello, chi da nonviolento prova con le “armi” del nonviolenza ad aiutare il potere a realizzare e a rispettare le proprie leggi e i suoi impegni; dall’altro, mi si perdoni l’espressione, chi ha deciso di comportarsi come quelle evangeliche guide cieche abituate a filtrare il moscerino e ad ingoiare il cammello. E chissà perché, nel citare questa evangelica frase, vengono sempre in mente certi magistrati che oggi scendono in politica, tanto attenti alla legalità quanto muti su questi temi, che pure attengono a questioni di legalità e legalità costituzionale.
E’ trascorso un anno, e io vorrei di nuovo citare in quest’aula le parole pronunciate dai direttori delle carceri del SIDIPE che oltre un anno fa scrivevano: “Come Dirigenti Penitenziari, a capo degli istituti carcerari e degli uffici dell’esecuzione penale esterna, desideriamo che siano perfettamente chiariti gli ambiti delle nostre responsabilità di gestione, rispetto a quelle di quanti, facendosi schermo di noi, non ci pongono in condizione di svolgere il nostro lavoro con dignità, nell’effettivo rispetto delle leggi solennemente enunciate e quotidianamente violentate”.
E vorrei ricordare le parole dei tanti che in questa nostra terra di Basilicata si sono espressi a favore di un provvedimento di Amnistia e le cui parole sono state rese clandestine.
Penso per esempio alle autorevoli parole, pesanti come pietre, di Monsignor Agostino Superbo che ad aprile scriveva: “la Chiesa sente che l’impegno per l’amnistia, la giustizia, la libertà rappresenta un fatto che va nella direzione di una possibile e necessaria riconciliazione”.
Ecco, la necessaria riconciliazione non più rinviabile di un Paese che deve riconciliarsi con diritti che da troppo tempo nega.
E certo vorrei avere il tempo e il modo per parlare, qui e ora, della necessità di intervenire su leggi criminogene come la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi e sulla necessità di rivedere la presunta obbligatorietà dell’azione penale o di introdurre una effettiva responsabilità civile del magistrato che sbaglia per dolo o colpa grave.
E vorrei anche in questa sede affermare che c’è un giudice a Taranto, la dott.ssa Todisco, che in questo Stato canaglia ha provato a tutelare la salute degli abitanti della città dei due mari, mentre altri licenziavano provvedimenti eversivi. Sì, c’è un giudice a Taranto, anzi due, per dirla con Rita Bernardini. Perché c’è anche un magistrato e una magistratura di sorveglianza che onora la sua funzione, come – ahimè - non sempre avviene.
Vorrei, ma il tempo è tiranno e ho di certo abusato della vostra pazienza e disponibilità
E quindi, mi sia consentito, chiudo citando Winston Churcill: “Tutte le grandi cose sono semplici e molte possono essere espresse in semplici parole: Libertà, Giustizia, Onore, Dovere, Pietà e Speranza”.
Ed è semplice il messaggio che Marco Pannella sta declinando da mesi, da anni, in questi giorni, in queste ore, dando corpo alla speranza, facendosi speranza. Giustizia, Amnistia, Libertà, Legalità, Diritto, Diritti, Proposta e non Protesta.
Le grandi cose sono semplici e occorre ora, ieri, subito fare quello che la propria coscienza dovrebbe dettare. Occorre agire, perché come diceva il galeotto Ernesto Rossi: “L’Italia non potrà essere diversa se non siamo noi capaci di volerla diversa. E volere è agire”.
Maurizio Bolognetti
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