“È fondamentale rafforzare i controlli dotando l’Arpab di sistemi di analisi efficienti a garanzia di una rete di monitoraggio sempre più strutturata, senza dimenticare il ruolo centrale delle Regioni nell’applicazione del Piano d’azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN). Per questo al governo regionale chiediamo di adottare al più presto misure specifiche per la riduzione di presenza nell’ambiente di pesticidi pericolosi per l’ambiente acquatico, nonché di attivare gli osservatori fitosanitari regionali affinché diano assistenza e informazione alle aziende agricole”. E’ il commento della Legambiente Basilicata sul Rapporto nazionale pesticidi nelle acque svolto dall’ISPRA per il monitoraggio delle acque interne superficiali e sotterranee sulla presenza di fitosanitari, biocidi e altre sostanze. Secondo il rapporto non risultano evidenze di contaminazione di pesticidi in Basilicata ma non c’è nulla di cui rallegrarsi per l’associazione se l’Ispra scrive anche che “il monitoraggio effettuato non è adeguato per rappresentare il reale impatto dei pesticidi e non consente di esprimere un giudizio adeguato sullo stato di qualità delle acque”. Il rapporto viene costruito sulla base dei dati forniti dalle Regioni e dalle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, ma la copertura del territorio non è completa né omogenea soprattutto per quanto riguarda le regioni centro – meridionali: non si dispone di informazioni relative a Molise e Calabria e mancano i dati relativi a cinque Regioni per quanto riguarda le acque sotterranee, tra cui la Basilicata. I dati a disposizione, infatti, riguardano solo le acque superficiali e solo il 2014. Sono stati monitorati solo 15 punti. Anche il numero delle sostanze cercate è ridotto (34) e inferiore rispetto alla media nazionale. Se si pensa che In Italia, solo in agricoltura, si utilizzano circa 130.000 tonnellate all’anno di prodotti fitosanitari (ISTAT, 2014) i quali contengono circa 400 sostanze diverse e che la contaminazione da pesticidi è un fenomeno complesso e difficile da prevedere, sia per il grande numero di sostanze impiegate, sia per la molteplicità dei percorsi che possono seguire nell’ambiente, è evidente come un attento monitoraggio sia indispensabile, specialmente a livello locale.
Legambiente sottolinea che alcuni dei residui più frequentemente ritrovati nell’acqua da Ispra sono gli stessi ritrovati anche negli alimenti (vedi dossier Stop Pesticidi 2015 di Legambiente), come il metalaxil, il boscalid e l’imidacloprid, fungicidi e insetticidi sistemici. Il tema del multiresiduo, così definito per indicare la presenza concomitante di più e diversi tipi di residui chimici in uno stesso campione alimentare, è un tema di grande rilevanza. Come si evidenzia nel dossier Stop Pesticidi, il multiresiduo è aumentato negli anni e ha fatto registrare campioni da record: fino a cinque residui nelle mele, otto nelle fragole, quindici nell’uva da tavola, cioè in alimenti dalle ben note proprietà nutrizionali che però finiscono sulle nostre tavole carichi di pesticidi. Per questi motivi il fenomeno andrebbe indagato rispetto ai rischi legati all’esposizione contemporanea ad alcuni principi attivi e al fatto che ancora oggi, il limite massimo di residuo, è calcolato sul singolo principio attivo. Anche Ispra ha posto risalto su questa problematica nel rapporto presentato oggi, avendo ritrovato più e diverse miscele di sostanze attive nelle acque, contenenti fino a decine di componenti diversi. Tra le sostanze ritracciate da Ispra nelle acque, c’è il glifosato e soprattutto il suo metabolita AMPA, su cui ci sono risultati limitati solo a due regioni: Lombardia e Toscana. Il glifosato è una di quelle sostanza che oggi è sotto attenta osservazione, essendo anche il più diffuso e usato erbicida al mondo per il controllo delle infestanti. La Coalizione Italiana Stop glifosato, di cui fa parte anche Legambiente, ha richiesto ormai da tempo un intervento deciso per lo stop definitivo al suo utilizzo - dopo che lo IARC (International Agency for Research on Cancer), l’agenzia per la ricerca sul cancro dell’Oms, lo ha classificato come probabile cancerogeno - e l’applicazione del principio di precauzione in difesa della salute pubblica.
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