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domenica 22 luglio 2012

A chi giova dividere la Basilicata?...abdicazione di un monarca

Non sarà sfuggito ai tanti che l’inesorabile allontanarsi dalla nostra regione di enti e società dello Stato che, a prescindere dalle forme giuridiche assunte – quindi non solo in quanto datori materiali di servizi, ma di quel quid psichico che lascia intuire una presenza stessa dell’istituzione attraverso i suoi organi sul territorio – sembra ormai seguire logiche di “ritiro” dalle zone interne del meridione, segnatamente Basilicata e Molise, in favore delle più dinamiche zone costiere delle regioni limitrofe. Così a leggere la realtà di ristrutturazioni di uffici postali, soppressioni di province ed accorpamenti dei piccoli comuni, liquidazione di enti intermedi, dimensionamenti scolastici e riforme dei plessi sanitari, il quadro di una surrettizia chiusura degli enti locali di governo del territorio appare ormai tanto evidente da necessitare solo di un “atto concreto” nella solita giustificazione di bilanci malati e razionalizzazioni. E’ dai tempi del progetto della Fondazione Agnelli che smembrare la Basilicata ed accorpare provincia di Potenza alla Campania e Matera alla Puglia, secondo progetti teorici che individuavano prossimità economico-strutturali, glottologiche e quindi culturali (forse frutto queste più dei ricorrenti “lombrosismi” mai sopiti in alcune letture antropologiche del Meridione) tali da individuarne una conclamata, costosa inutilità da “sanare” nell’accorpamento alle regioni vicine, puntualmente ritorna come argomento.
La prossimità dell’estate suggerirebbe la boutade, ma alla luce di un più che evidente allontanamento dalla regione dei pezzi che fanno Stato di uno Stato in dimagrimento forzato, si aprono forse dei nuovi scenari per questa terra terremotata da secoli e per la quale sono alcune logiche ragionieristiche con cui par doversi misurare la realtà, a tracciare confini de facto nei tagli ai servizi ed ai trasferimenti. Confini dettati da altre considerazioni che non siano quella storia che si confonde con la tradizione, le relazioni quasi carnali di odio-amore con il territorio e quel senso di languida dimenticanza narrata dai nostri migliori poeti come una nostalgia per ciò che mai si era avuto e che, una volta avuto, purtroppo si sarebbe sprecato, l’amministrazione di una Regione, considerazioni che pur suggerivano la Lucania esistente come un fatto della democrazia e i suoi abitanti, i lucani, come un fatto socio-demografico e non più solo la massa riottosa e pezzente con cui erano stati fino ad allora dipinti e considerati. Storia che credevamo sepolta, quella della disarticolazione della regione, e che in questi giorni ritorna, dopo le analoghe “sparate” di qualche tempo fa dell’on. Fioroni, con le interviste di un trans-frontaliero della politica, l’on. Rutelli, anche lui proveniente dalla Margherita, che ritira dall’oblio apparente quella proposta indecente di dividere in due tronconi regione e popolazione, con la scusa di quella corsa al mare, ma questa volta voci informate parlano di una proposta di legge già depositata alla Camera. Una proposta che, se verificata, avrebbe del ridicolo, considerando che occorrono legge costituzionale ed altrettanti doppi referendum tra territori cessanti e regioni accorpanti, e non certo disegni di legge ordinaria, per dare corso a simile mutamento di una realtà, la Regione, prevista dalla Costituzione, pure se discutibili prassi di interventi sulla stessa sono divenuti quasi regola in un paese ancora in bilico tra i baccanali e un governo tecnico, troppo ideologicamente tecnico, a cui i partiti si sono resi zerbini, figurarsi quella cosa strana che è l’API, il partito dell’on. Rutelli dopo il suo ennesimo giro di valzer che dai radicale, ai verde, dall’Ulivo/Margherita al PD lo qualifica come provetto ballerino, più realista del Re nella corsa a tagliare la democrazia ed i suoi organi locali e non invece un centinaio di caccia-bombardieri. Non conosciamo così le intenzioni del suddetto imenottero con la sua proposta di legge, se la boutade estiva in cerca di qualche titolo per uscire dall’anonimato del grande centro evaporato, o manovalanza in nome di chissà quali interessi, ma dividere la Basilicata, allocando altrove le sue potestà di governo e programmazione del territorio per alcuni ha un senso che riassumeremo in tre semplici domande:
A chi fa gola una regione che fornirà a breve con il suo petrolio ed il suo gas, estratto non più nella sola nella Val d’Agri, ma temiamo nell’intera regione il 12% del fabbisogno energetico del Paese?
A chi fa gola una regione che fornisce il 30% dell’intero fabbisogno idrico del meridione?
A chi fa gola un territorio poco antropizzato e che, ulteriormente spopolato, poco si opporrebbe ad alcune destinazioni dello stesso avversate altrove?
L’on. Rutelli è persona di troppo poco conto politico per avere ruoli da protagonista in simili processi che, complottismo o meno, è semplice poter scorgere nella sproporzione tra le risorse e la demografia e tra il peso sulla seconda che un massivo utilizzo delle prime produrrebbe, nell’incrinamento di quel sistema di consenso baronale su cui ha retto un “tutt’apposto” a cui non crede più nessuno, e così più che a lui, occorrerebbe forse chiedere al Presidente De Filippo conto della presenza di un assessore dell’API nella sua giunta, esattamente come di una gestione della regione che definire fallimentare per i lucani, per quasi tutti i lucani, è persino troppo gentile nell’evidenza dei numeri economici e sociali. Presidente De Filippo che a questo punto o ritrova un impossibile sussulto di orgoglio, stracciando il memorandum che ha aperto la strada alla “conquista del West” – la storia, il presente ed il futuro dello sfruttamento delle risorse in questa regione – in cambio di interventi strutturali per cui non ci sono e non ci saranno a breve risorse disponibili, smettendo così il ruolo da garante verso compagnie e Stato tenuto finora e divenuto di fatto inutile, o se non in grado – e per carità, nessuno gli chiede il buon governo ormai - si dimetta, abdicando come un cattivo monarca. Questa regione per evitare di perdere se stessa nelle alchimie del riordino della governance statale e di una Comunità europea che nella crisi perde il suo ruolo di casa comune degli europei, ha bisogno di un progetto economico e sociale dove non sia la marginalità ed il bisogno a fare da guida all’uso delle risorse, ma la consapevolezza del valore di una terra legittimata dalla storia a dirsi Regione e che, ora più che, mai necessita di una “visione” e di concretezza che la guidi in un periodo in cui sembra che gli uomini siano divenuti del tutto funzionali all’economia. Abbiamo la prima, ci stiamo attrezzando per la seconda.

Miko Somma, segretario regionale di Comunità Lucana

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