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venerdì 16 gennaio 2015

Il Vino che “ubriaca” i Poteri Forti

Chi scrive di cronaca legge le carte prima di scrivere, e fa bene. Chi fa indagini giornalistiche e scrive di cronaca legge le carte prima di scrivere, e fa bene. Tuttavia, c’è una differenza, sottile, a volte impercettibile, ma importante per far emergere la verità. Nel secondo caso, difatti, chi indaga legge le carte, quelle degli inquirenti, quelle processuali, quelle prodotte da ambedue le parti contendenti. E se vuol far emergere la verità non si ferma alle mere dichiarazioni trascritte nero su bianco, bensì legge anche tra le righe di quelle dichiarazioni, tra le pieghe epistolari e chilometriche dei verbali che nascondono sottintese verità spesso rese asettiche e fredde da una trascrizione. Chi indaga arricchisce le sue fonti chiedendo, ascoltando, osservando la mimica e percependo gli umori di chi ha di fronte, informandosi, rischiando in prima persona specie se le carte prodotte dagli inquirenti dicono una cosa piuttosto di un’altra, quella verità che si vuol nascondere per altri scopi. E questo lo si può affermare, senza ombra di dubbio, se si conoscono le parti contendenti e cosa hanno fatto al di fuori delle beghe giudiziarie. Dal giornalismo, purtroppo, il caso sottoposto è stato sempre affrontato trascrivendo negli articoli ciò che gli atti giudiziari hanno prodotto. Questo è giusto poiché chi scrive di cronaca, come detto, si attiene ai fatti. Ma chi indaga, che sia un giornalista o un detective, va oltre. Quell’oltre, bisogna dirlo, non è stato mai riportato dalla stampa. Credo che sia giunta l’ora di farlo emergere. Un passo per volta, una notizia dietro l’altra e con il dovuto rispetto delle persone in oggetto, giacché lo Stato in cui viviamo è fondato su una Costituzione garantista, fino al terzo grado, quello della Cassazione. E se il terzo grado non basta, l’indagine può andare avanti anche privatamente giacché è la verità assoluta ed inequivocabile che deve emergere, non quella prodotta in tre gradi che, nel caso, converge sempre nella stessa direzione e con le stesse persone che la indirizzano. La vicenda giudiziaria che contrappone due aziende di vini, la Farnese vini s.r.l. di Ortona (CH) e la Feudi di San Marzano s.r.l. di San Marzano di San Giuseppe (TA), è la sintesi di anni di beghe legali, iniziate fin dal sodalizio delle due. L’anno 2003 un imprenditore, onesto, innamorato del suo lavoro, dalla spiccata capacità di saper coniugare passione e competenza, con doti organolettiche non comuni, decide di “aiutare” altri imprenditori fondando la Feudi di San Marzano s.r.l. Lo fa, bonariamente e, mi permetto di dire, con imprudente fiducia, quella dell’uomo abituato a lavorare piuttosto che amministrare, entrando in società con la Cantina e Oleificio sociale di San Marzano Soc. Coop. Agr. Gli inizi son d’oro e il rilancio dei vigneti autoctoni pugliesi attraverso la produzione di vini eccellenti lo dimostra. Difatti la commercializzazione varca i confini europei. Ma, come accade sempre quando l’aiuto è dato da persone perbene, c’è sempre chi ne approfitta. Le cronache son piene di informazioni sul caso e ripeterle sarebbe superfluo. Tuttavia parliamo di vino, o meglio di commercializzazione e etichettatura di quel prodotto che piuttosto di essere ricordato come eccellenza territoriale, nello specifico potrebbe assumere l’antico detto “In vino veritas”, quel prodotto che rilassa i freni inibitori delle persone e che, dando alla testa, ubriaca i poteri forti. In seguito potremmo capirne qualcosa. L’ultimo riscontro giudiziario cui si hanno notizie (me ne potrebbe sortire un altro e forse a breve e già in atto…che ribalterebbe il caso) risale al 25 luglio 2013, con un reclamo depositato presso il Tribunale di Bari nella Sezione Specializzata in Materia di Impresa, fa capo all’ex art. 669 terdecies c.p.c. In un mio precedente articolo, “Taranto, perdita di milioni di euro non solo per l’Ilva ma per vini”, è ben descritta la vicenda, le “corporazioni” tra le società interessate e, in particolar modo, chi le amministra.
Contestualmente sarebbe opportuno definire alcuni passaggi inerenti parentele tra le persone interessate al caso. Persone che risultano come soci delle aziende in oggetto, amministratori, legali di parte e giudicanti. Con ciò mi chiedo se tali parentele potrebbero svelare la chiave di volta di tutta la vicenda giacché, a quanto pare, sono in atto continui ostracismi giudiziari. Tenterò di ricostruire un primo albero genealogico, nel suo più intrinseco significato etimologico riferendomi non solo a parentele ma anche a strette amicizie, utilizzando informazioni pubbliche che tutti conosciamo, che unite al caso sortirebbero interrogativi leciti e senza “cespugli”. All’apice di tutto c’è l’allora amministratore delegato della Feudi di San Marzano s.r.l., Francesco Cavallo (detto Franco), un personaggio che nel tarantino ha molte amicizie e conoscenze e che ricopre vari incarichi, controllando altrettante società. Tra le più in auge c’è la Cantina ed Oleificio Sociale di San Marzano s.r.l., destinata al fallimento, e la BCC -Credito Cooperativo di San Marzano- che oggi conta 10 agenzie. Un personaggio che non mi meraviglierei abbia conoscenze finanche nel mondo dei media, lecite sia chiaro, ma che dovrebbe essere libero e che spesso si rivela legato da lacciuoli istituzionali, bancari e della finanza. Poi c’è la figura dell’ Avv. Sebastio, legale della BCC (di Cavallo), nonché figlio del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto. Un procuratore, che per dover di cronaca, o forse solo gossip, era presente alla festa dei 50 anni della cooperativa gestita dal Cavallo. A seguire c’è una donna, la dott.ssa Monica Bruno, Presidente del Collegio Sindacale della Cantina ed Oleificio Sociale di San Marzano s.r.l., moglie del giudice Ciro Fiore, Presidente Vicario della Seconda Sezione Penale del Tribunale di Taranto. Guarda caso la stessa sezione che si è occupata del riesame. Ma son coincidenze che nel mondo della finanza e delle toghe spesso ritroviamo in ogni angolo del Belpaese. Come sono coincidenze che la Bruno è stata nominata anche Presidente del C.d.A. della Feudi di San Marzano s.r.l. Coincidenze, nuovamente guarda caso, dopo l’irriflessiva decisione del riesame da parte del Tribunale di Taranto e del Giudice Unico del Tribunale di Bari che con l’ex art. 700 escludeva come socio la Farnese vini s.r.l. Coincidenze, che lecitamente interrogano me stesso su presunti rapporti confidenziali e amicali più che amichevoli, se tra i due aggettivi pur non essendoci differenze, se non quella di attestazioni d’uso, nel caso specifico preferisco “amicale” perché nella letteratura risorgimentale del Pellico il vocabolo “amicale” assume quella valenza che esprime un rapporto di stretta amicizia, quasi parentale, a scapito di amichevole che indica un rapporto tra due o più persone che si rispettano, si salutano, me che non necessariamente potrebbero essere amiche. Ovviamente queste amicizie son libere e lecite, potrebbero anche non essere i presupposti per scambi di favori che farebbero gridare allo scandalo, ma son sempre “amicizie-amicali” e interrogarsi, specie per l’opinione pubblica, è doveroso ancorché abbiano sentori di conflitti d’interessi. Ovviamente m’interrogo e affermo e meglio non rispondo a presunte deduzioni fino a che le carte non accertino la “vera verità”, non quella del vino. Come pure un secondo albero genealogico verrà fuori nei prossimi articoli, dove non mancheranno dettagli più precisi. Il dubbio sull’intera vicenda, comunque, c’è e si percepisce a pelle, pur non essendo un esperto in materia di leggi. Mi chiedo come mai, ed è agli atti giudiziari, il procedimento legale nei confronti della Farnese vini s.r.l. inizia principalmente con l’emissione di un’ordinanza cautelare da parte del GIP di Taranto traendo le motivazioni con leggi non attinenti alle normative sul vino, bensì sugli alimenti? Inoltre, mi chiedo ancora, come mai il GIP di Taranto ha svolto la sua ordinanza fondando le proprie motivazioni sulla base di informazioni sostenute dal Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, Dott.ssa Lucia Isceri? Può darsi che non tutti sappiano che quell’ordinanza è stata messa in esecuzione solo in seguito ad un’indagine (secondo loro, i togati) “approfondita” da parte della Guardia di Finanza di Manduria. Indagine avvenuta con una minuziosissima e lunga perquisizione ad Ortona nella sede della Società Farnese Vini S.r.l. e presso i suoi fornitori. Quel giorno, tanto per ricostruire i fatti, la Guardia di Finanza di Manduria si recò a Ortona con più pullman, e con un dispiego di uomini che pareva un battaglione, perquisì di tutto. Il risultato? Le Fiamme Gialle verificarono visivamente e materialmente che la Società Farnese Vini S.r.l. non aveva effettuato nessuna vendita illegittima di bottiglie di vino. Con ciò appare evidente che il comportamento della Guardia di Finanza di Manduria, operativa in trasferta quando poteva delegare quella in loco, e per essa del Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, dott.ssa Isceri, appare anomalo ed incomprensibile, tenendo conto che recentemente, in sede di Riesame, il predetto Procuratore depositava una memoria scritta (di per se già un fatto inusuale ed inconsueto) dove dichiarava che la Società Vigneti del Salento S.r.l. e Luccarelli S.r.l., talaltro società entrambe controllate e totalmente partecipate dalla Farnese Vini S.r.l., non risultavano titolari di partita Iva; ciò è cosa assolutamente falsa. Sarà, ma continuo a credere che quel vino, per le opportunità date dal successo mondiale, ha dato alla testa ai “poteri forti”, rilassando i freni inibitori di chi doveva garantire dapprima trasparenza e poi legalità.
“In vino veritas”, il vino che “ubriaca” i Poteri Forti. Con tal analisi la Farnese Vini S.r.l. cerca qualcuno che potrebbe ostacolare questi “poteri forti” che stanno ingiustamente demolendo un prodotto unico, un vino d’eccellenza prodotto con vigneti di un territorio che ha ospitato un imprenditore che ripeto è abituato a lavorare piuttosto che amministrare e che ha doti organolettiche non comuni. Guardate che innanzi a noi non abbiamo “Pantalone” quella maschera veneziana che rappresenta il tipico mercante vecchio, avaro e lussurioso, ma abbiano Pantaleone. Ebbene con lui, giacché è onesto, ci vorrebbe qualcuno che dialetticamente direbbe “Cu n'uocchio frije 'o pesce e cu n'ato guarda 'a gatta” (Con un occhio frigge il pesce, mentre con l'altro guarda la gatta). Ricordo a tutti che Pantaleone Giuseppe e soprattutto Sciotti Valentino, rispettivamente avvocato con delega della proprietà della Farnese Vini S.r.l. e amministratore della stessa azienda, in Puglia sono “estranei” e assolutamente distanti dai salotti del Potere, e loro con il relativo staff sono vicini solo al proprio lavoro e costante e quotidiano sacrificio. Subire passivamente ingiustizie non può essere più tollerato, allorquando la vicenda ha effetti sul lavoro di centinaia di famiglie e sul mercato vinicolo nazionale e internazionale, con la devastante ripercussione negativa mediatica del territorio.
L’aria della solita “furbata” deve cambiar traiettoria. Sia molto chiaro!

Ad Maiora!
Nico Baratta

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