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giovedì 18 giugno 2015

UNA COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA ANCHE PER L’ENI

La più grande azienda italiana ha troppi lati oscuri, in barba anche agli obblighi etici dettati dall’istituto giuridico della “Golden share” (il ministero del Tesoro italiano possiede il 30% delle azioni Eni). Si va dalle insinuazioni sul supporto all’intelligence italiana (come rivelato da una storica gaffe dell’attuale primo ministro Matteo Renzi), alle sempre più frequenti accuse – per l’Eni e per le sue controllate come la Saipem – di corruzione anche internazionale, di costituzione di fondi neri, di evasioni di normative, di strafottenza ambientale e di un forte potere di “moral suasion”. Potere di interdizione esercitato con sempre meno ricorso alla morale e sempre più ricorso alla persuasione forzosa, verso università, giornali, televisioni, società scientifiche ed enti di gestione e di certificazione, non solo italiani. Il sistema usato è sempre lo stesso: elargizione di mazzette di decine di milioni di euro, piani di investimenti pubblicitari e piani di finanziamenti di studi di ricerca in chimica e in geologia, che non hanno eguali nel mondo e che coinvolgono centinaia e centinaia di specialisti, testate giornalistiche, società ed enti. A prima firma del senatore Vito Petrocelli, il Movimento 5 Stelle ha consegnato al presidente del Senato, Pietro Grasso, una proposta di istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull’Eni, al fine di far luce sui metodi e sui meccanismi di azione applicati dal colosso chimico-petrolifero italiano. Operazione necessaria per far luce su una serie di episodi che, tra condanne, accuse, arresti e disastri, accomuna sempre di più l’ex colosso di Stato non all’immagine sociale che spetta alla cultura e alla storia dell’Italia, ma, purtroppo, a quella dei politici che amministrano il nostro Paese. L'obiettivo principale della Commissione sarà quello di analizzare il legame tra le attività, la gestione e la situazione economico-finanziaria dell’Eni (e delle sue società satelliti), con il fenomeno della corruzione che vede connessioni dirette con il sistema politico, con la pubblica amministrazione, con il sistema delle autonomie locali, con i funzionari dello Stato, con il mondo delle imprese, dei media e più in generale della scienza, dell'economia e della finanza. Con una struttura dirigenziale che ha manifestato in questi decenni di esercitare anche un’arroganza comunicazionale che farebbe invidia al personaggio interpretato da Michael Douglas, nel film “Wall Street” di Oliver Stone. Basta leggersi i resoconti delle audizioni al Senato dei massimi dirigenti Eni, comprese quelle dell’ex ad Paolo Scaroni, condannato per disastro ambientale, per capire il livello di strafottenza manifestato persino nei confronti delle Istituzioni italiane, dato che, glissando una richiesta di chiarimenti sulla possibilità di costituzione di fondi neri, sono stati capaci di addossare, a fantomatiche attività antropiche locali, la presenza di un elevato inquinamento di idrocarburo pesante C12, in una vasta zona della Basilicata, attorno a 6 pozzi minerari dichiarati, all’ufficio ministeriale Unmig, utili alla sola estrazione di gas. Come se il C12 fosse reperibile al pari dell’acqua fresca, tra sorgenti e fontane. La richiesta di una Commissione parlamentare d’inchiesta, assegnata per l’esame alle Commissioni Giustizia e Industria, è partita dall’intervento di denuncia di Beppe Grillo all’assemblea nazionale e annuale dei soci Eni, che ha ricordato i casi Parmalat e Telecom, nella quale il capo politico del Movimento non ha tralasciato nessuna delle imputazioni addebitabili al colosso energetico italiano, compreso il licenziamento dei due ex dirigenti Saipem, Gianni Franzoni e Giulio Melegari, rei di aver informato la società, come da codice etico interno, delle possibili falsificazioni delle certificazioni navali delle piattaforme petrolifere e della professionalità dei sommozzatori utilizzati nei mari di mezzo mondo. Ma diciamo anche che questa richiesta di Commissione parlamentare d’inchiesta sull’Eni e sulle sue consociate è la logica conclusione di due anni di lavoro con continue interrogazioni e denunce fatte in Parlamento, dal 2013, in merito proprio ai comportamenti, ai privilegi e alle libertà che l’Eni in particolare, e le società energetiche e petrolifere in generale, si prendono a discapito dei cittadini e del rispetto dei diritti degli altri. A partire dalle perforazioni senza regole fatte dove meglio conviene all’Eni, dai disastri ambientali causati, dai rischi per l’ambiente e la catena alimentare umana, ai vergognosi canoni delle concessioni minerarie, al ricorso al franco frontiera per eludere le tasse in Italia, ai costosissimi contratti “take or pay” con la Russia di Putin. Il cui gas, franco frontiera (prima di tassarlo in patria) e a parità di determinazione del mercato e di fonti approvvigionamento, incomprensibilmente costa agli italiani il 36% in più di inglesi, belgi e tedeschi.

Vito Petrocelli
Portavoce M5S Senato della Repubblica

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