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domenica 22 settembre 2013

Domani ancora una udienza del processo sulla vicenda Pertusillo. Bolognetti: che ci sia una decisione su questa lunare vicenda.

Maurizio Bolognetti, Segretario di Radicali Lucani

“Ora anche l’Arpab conferma, il Pertusillo è inquinato”. A rileggere il titolo che lunedì 16 settembre campeggiava sulla prima pagina della Gazzetta del Mezzogiorno viene davvero da sorridere. Sorrido, pensando che il 6 marzo del 2010, cinque giorni dopo la perquisizione della mia abitazione, disposta dal dott. Salvatore Colella, il settimanale Controsenso titolava: “Il radicale aveva denunciato presunti scempi ambientali”. Presunti? Lo ripeto una volta di più, stanco come sono di doverlo fare: in Basilicata di “presunti” ci sono stati solo i controlli ambientali. Certe, invece, le commistioni tra controllore e controllato, testimoniate plasticamente dalla vicenda Fenice. Altrettanto certe le palesi incompatibilità ambientali di alcuni magistrati, ad iniziare dal dott. Salvatore Colella passando per il procuratore Renato Arminio. Fatto sta, che a tre anni e mezzo dai sempre meno “presunti” scempi ambientali, domani tornerò in Tribunale per rispondere della lunare accusa di “rivelazione del segreto d’ufficio”. Eppure ho già da tempo ammesso la mia colpevolezza. Sì, sono colpevole di aver divulgato analisi che avrebbero dovuto essere pubbliche e sono colpevole di aver divulgato analisi che ho pagato e commissionato alla Biosan di Vasto per smentire il mare di bugie che nel gennaio del 2010 mi venne vomitato addosso. Un linciaggio in piena regola, con annessi editoriali scritti da una nota prefica di regime. Servirà ricordare che l’art. 5 comma C della Convenzione di Aarhus prevede che “in caso di minaccia imminente per la salute umana o per l’ambiente, imputabile ad attività umane o dovuta a cause naturali siano diffuse immediatamente e senza indugio tutte le informazioni in possesso delle autorità pubbliche che consentano a chiunque possa esserne colpito di adottare le misure atte a prevenire o limitare i danni derivanti da tale minaccia”. Servirà ricordare che nell’art. 3 ter del Codice dell’Ambiente si afferma che “la tutela dell'ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell'azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonche' al principio «chi inquina paga» che, ai sensi dell'articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale”. Nel gennaio del 2010 ho provato a nutrire la mia fame di conoscenza e di verità. Con senso di responsabilità ho avvertito le autorità e le massime istituzioni lucane di un pericolo poco presunto e assai concreto. Quella denuncia fu accolta dal rumoroso silenzio dei tanti che oggi, in prossimità del voto, dichiarano un tanto al kilo. Dal silenzio di chi ha troppi scheletri per poter davvero affondare il coltello nella piaga e nella migliore delle ipotesi può aspirare ad un piccolo ruolo nello stucchevole gioco delle parti che di tanto in tanto va in scena. Che dire, mi auguro che dopo tre anni e mezzo ci si avvii alla conclusione di questa farsa. Vorrei poter dire la mia in un aula di tribunale e vorrei sentire pronunciare una sentenza. Credo di averne diritto anche in un paese come il nostro, che è “Stato canaglia” in materia di amministrazione della giustizia perlomeno quanto lo è in materia di tutela dell’ambiente e della salute umana. Il paese in cui le dichiarazioni di un pentito vengono inghiottite dal segreto di Stato, mentre la gente crepa di tumore.

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