La guerra era durata 4 anni, 3 mesi e 14 giorni di combattimenti. Le vittime nelle forze di terra furono più di 37 milioni. La guerra produsse indirettamente quasi altri 10 milioni di morti tra la popolazione civile. Negli anni immediatamente successivi alla conclusione della “grande guerra”, nelle piazze di tutti i nostri paesi e delle nostre città furono eretti monumenti che ricordano il sacrificio di tanti contadini, artigiani, braccianti, professionisti, tutti giovani che furono chiamati a svolgere una funzione decisiva per la nazione. Si trattava in gran parte di intere classi anagrafiche che solo in quella occasione conobbero la patria. Venivano da paesi sperduti del sud, del centro e del nord Italia, in gran parte immersi in una tremenda povertà.
Negli anni del ventennio fascista il ricordo della “grande guerra” fu strumentalizzato in chiave retorica, richiamando fasti militari che in effetti non si erano verificati.
Ciò che si era verificato certamente erano le gesta eroiche di un esercito popolare che volle dare all’Italia la sua indipendenza. A circa un secolo dalla conclusione del conflitto, oggi in modo razionale possiamo affermare che il grande sacrificio di migliaia di giovani soldati non fu vano e che grazie a quella generazione di italiani è stato possibile edificare la nostra nazione restituendole dignità, indipendenza e libertà. Fu in effetti l’ultima guerra di indipendenza che comportò la partecipazione popolare grazie all’esercito e alle forze armate che oggi festeggiamo perché costituiscono il baluardo della sicurezza del nostro Paese. Oggi onoriamo dunque quegli eroi. Onoriamo quegli italiani i cui nomi sono impressi sulle lapidi dei monumenti ai caduti. Onoriamo anche tutti quelli di cui non conosciamo neppure i nomi. E onoriamo il Milite Ignoto. Lo spirito con cui ricordiamo quel passaggio cruciale della storia recente del nostro Paese è allo stesso tempo di orgoglio per la riconquistata libertà e indipendenza ma al tempo stesso di grande tristezza per il prezzo altissimo pagato da una intera generazione che fu falcidiata a causa del conflitto. Onoriamo oggi quegli uomini, quei contadini, quei lavoratori chiamati a svolgere una funzione straordinaria. Senza possedere in gran parte gli strumenti della conoscenza e della cultura, quei giovani risposero generosamente all’appello della Patria. Fu posta sulle loro spalle una grande responsabilità e furono all’altezza del compito loro assegnato. Ma ancora una volta, il richiamo a quelle pagine della nostra storia non va fatto per esaltare la guerra! Anzi! Siamo qui come ogni anno per respingere la cultura dell’esaltazione della forza militare e della guerra. Siamo qui per rivolgere a quei caduti il nostro pensiero di gratitudine e compassionevole per l’enorme sacrificio, ma al tempo stesso per assumere ciascuno di noi l’impegno a combattere la cultura della guerra, la cultura della sopraffazione, la cultura della violenza, la cultura della discriminazione razziale, la cultura della discriminazione sessuale, per scegliere con convinzione la cultura della tolleranza, dell’accoglienza, della pace. Siamo qui come in tutte le città italiane oggi per “scambiarci un segno di pace” come accade durante la liturgia della Chiesa. Perché da ciascuno di noi e collettivamente parta un monito a non ripetere esperienze tragiche come quella di un secolo fa. E le Forze armate, ancora una volta le nostre Forze armate sono chiamate oggi a svolgere un ruolo nuovo ed essenziale proprio per salvaguardare la PACE!. La stabilità e la sicurezza internazionali sono beni pubblici comuni a tutti i Paesi liberi e democratici; sono le condizioni necessarie - pur se non sufficienti per lo sviluppo economico e sociale, e nessun Paese libero e democratico può sottrarsi al dovere di contribuirvi, nel proprio interesse e in quello di tutta la Comunità Internazionale. Le Nazioni Unite, l'Alleanza Atlantica, l'Unione Europea sono interpreti e strumenti operativi di questo dovere condiviso. Esprimiamo qui la nostra gratitudine ai nostri soldati che si trovano ancora in Afghanistan e in Libano. Permettetemi anche di rivolgere un pensiero ai due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone che sono ancora trattenuti in India. Le Forze Armate italiane hanno intrapreso da tempo, pur nei limiti imposti dalle ridotte risorse a disposizione, un significativo processo di razionalizzazione, volto a mettere in campo capacità
operative più idonee rispetto alle effettive minacce da
fronteggiare negli attuali scenari di impiego. Rendiamo onore a questi uomini, riconoscendone l'impegno e la
professionalità. Siamo orgogliosi di quanto essi fanno ogni giorno, in nome del nostro Paese e della Comunità Internazionale. E rinnoviamo l'omaggio alle Forze Armate come struttura portante, insieme ad altre, dello Stato democratico. Quello Stato nazionale unitario, nato 150 anni fa, che deve restare punto di riferimento e di continuità per tutti i cittadini. Credo, infine, di interpretare i sentimenti di tutti voi nel rivolgere al Capo dello Stato, al Presidente Giorgio Napolitano il saluto più affettuoso della nostra comunità.
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