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lunedì 9 dicembre 2013

Cibo lucano taroccato sulle tavole degli italiani

Sgranocchiare i peperoni cruschi o gustare il pecorino di Filiano per poi scoprire che si tratta di prodotti arrivati da chissà dove. Non certamente da agricoltori lucani. Oppure vengono sì confezionati in Basilicata, ma senza seguire le necessarie procedure che garantiscono la qualità e l’igiene del prodotto stesso. Si finisce così per diventare vittima del mercato del falso a tavola, di un made in Italy che di italiano non ha nulla. A volte neppure il nome. Nel dossier «Italia a tavola 2013» - il decimo rapporto di Legambiente sulla sicurezza alimentare, che racchiude dieci anni di lotta all’industria del cibo taroccato (oltre 500 mila controlli, 28mila tonnellate di prodotti sequestrati per un valore economico di oltre mezzo miliardo di euro) - c’è spazio anche per la Basilicata. In particolare, il monitoraggio (che fa riferimento al 2012) riporta il caso della falsa etichettatura di funghi porcini a Baragiano, individuati dal Corpo Forestale dello Stato, dove ulteriori controlli nell’azienda produttrice hanno permesso di individuare altri reati per il mancato rispetto delle norme di tipo igienico-sanitario (assenza di macchine sterilizzatrici, mancanza di idoneità dei contenitori per alimentari e altre anomalie nella conservazione dei prodotti).
Nel mese di luglio sempre dello scorso anno, inoltre, sono stati rilevati illeciti nel settore caseario. Il personale del Comando provinciale di Potenza ha proceduto al sequestro, nel territorio del comune di Maschito di un caseificio e di oltre una tonnellata di prodotti lattiero- caseari destinati al mercato locale, che sono stati rinvenuti in cattivo stato di conservazione, invasi dai parassiti e in stato evidente di alterazione. Il tutto è partito da un controllo effettuato presso il mercato comunale, dove sono stati rinvenuti dei formaggi stagionati commercializzati in violazione alla normativa in materia di etichettatura e tracciabilità. Nel dossier non si fa menzione di un’altra operazione che, per la verità, risale al 2010, ma che per dimensioni e impatto può essere considerata il «big bang» della contraffazione in Basilicata. Della serie: mentre allevatori e produttori lucani onesti sempre con più difficoltà si sforzano di mantenere in piedi le loro aziende, i «furbi», cercano di frodarli del valore del loro lavoro e della qualità delle loro produzioni. A settembre di tre anni fa un’operazione portò all’ar resto di 14 persone, tra Basilicata, Calabria, Campania e Trentino Alto Adige con le accuse, a vario titolo, di aver fatto parte di un’associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale e al commercio di suini importati dall’estero in Italia, violando le norme sanitarie a tutela dei consumatori. L’organizzazione aveva come punti di riferimento anche due allevatori della provincia di Matera e un commerciante di bestiame di Bolzano. In due anni sono stati importati da Paesi dell’Unione europea in Italia 30 mila suini macellati clandestinamente in Calabria e poi spediti anche in Basilicata. Una frode fiscale stimata in circa 8 milioni di euro. Una goccia nell’oceano del falso alimentare.

la gazzetta del mezzogiorno

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